Nel novembre 2020 lo Zambia dichiara il default sovrano. La causa è scontata quanto complessa: lo Zambia non riesce a rispettare i pagamenti dei debiti detenuti verso i creditori internazionali. Così, il Paese arriva a spendere quattro volte di più per il rimborso del debito che per l’assistenza sanitaria pubblica.

Il caso dello Zambia non è isolato. Così come quello dell’indebitamento dei Paesi poveri non è un problema nuovo. Anzi, se ne parla da anni, spesso nello stesso modo e senza giungere a soluzioni. Una nuova chiave di lettura è stata offerta da Papa Francesco, lo scorso 16 ottobre, in occasione dell’appello ai movimenti popolari. Il Pontefice ha chiesto ai gruppi finanziari e agli organismi internazionali di credito di «condonare quei debiti tante volte contratti contro gli interessi di quegli stessi popoli».

Queste parole non rappresentano solo un appello, ma ancor più un’accusa. «Debiti tante volte contratti contro gli interessi di quegli stessi popoli». Nel mondo esistono organismi che mettono alle strette Paesi già deboli e lacerati dalla povertà, costringendoli a contrarre nuovi debiti pur di sopravvivere. Alla richiesta del Pontefice ha fatto eco Caritas Internationalis. Aloysius John, Segretario generale dell’organizzazione cattolica che raggruppa 160 diversi movimenti in più parti del mondo, in esclusiva al nostro giornale dice di considerare il debito nei confronti dei Paesi poveri «una vera e propria forma di furto che colpisce le società dall’interno» e una «questione di giustizia sociale». «Il debito è spesso concesso ai Paesi poveri senza adeguati controlli e condizioni», prosegue John, «gli obblighi di debito possono causare un grave disastro socioeconomico, riducendo la popolazione dei Paesi fortemente indebitati in condizioni di povertà estrema». Diego Rivetti, senior debt specialist della Banca Mondiale, al nostro giornale parla di “debito odioso”, cioè «di quel debito che non viene contratto negli interessi dei cittadini, ma delle élites. Accanto a questa categoria bisogna aggiungere i debiti dalle condizioni capestro, risultato di asimmetrie informative o di rapporti di forza tra creditore e debitore».

Per quanto riguarda le aree più colpite dall’indebitamento, le stime della Banca Mondiale parlano di «oltre 50 Stati ad alto rischio di default, perlopiù concentrati nell’Africa sub-sahariana». «Con poche eccezioni», prosegue Rivetti, «si tratta degli stessi Paesi che avevano già ottenuto una cancellazione del debito circa vent’anni fa attraverso l’iniziativa Highly indebted poor countries. Di questi, oltre la metà sono tornati a livelli di indebitamento non sostenibili, con l’aggravante che la composizione attuale del loro portafoglio di debito rende molto più complicato ogni tentativo di ristrutturazione, data la maggiore presenza di prestiti commerciali, domestici o garantiti da materie prime». Certi Paesi sono particolarmente presi di mira perché, nota il Segretario generale di Caritas Internationalis, «hanno una leadership politica debole o sono falliti». Dunque, «chi concede il prestito», prosegue John, «ottiene il diritto di sfruttare le ricchezze naturali e minerarie. I poveri non hanno voce in capitolo, né beneficiano del debito concesso, spesso usato per fini personali e condiviso da leader locali corrotti. Al contrario, i più poveri vedono perfino peggiorare le proprie condizioni, come accaduto nella Repubblica Democratica del Congo, in Sudan, Kenya e Paesi dell’America Latina».

Il covid, precisa Rivetti, «ha acuito le difficoltà con una crescita media del debito per Paese di circa 10% sul Pil». Di fronte a questa situazione, in linea con l’appello di Papa Francesco, Aloysius John precisa che Caritas Internationalis ha fondato una «task force per seguire la questione del debito nei Paesi più poveri, accompagnando le Caritas locali nell’azione di lobby con i rispettivi governi. Contemporaneamente vengono condotte, a livello nazionale e regionale, analisi sulle diverse realtà legate al debito. La missione Caritas incoraggia le istituzioni a plasmare un futuro consono alla dignità di ogni persona».

Dall’altro lato, ci si interroga sul ruolo delle organizzazioni internazionali finanziarie. Perché certe situazioni sono possibili? Chi sorveglia? Cosa si fa verso i Paesi indebitati? «Il congelamento dei pagamenti dei debiti bilaterali da parte dei singoli Paesi è avvenuto attraverso la Debt service suspension initiative», risponde Rivetti, ma «i problemi sono due: l’iniziativa si è conclusa a fine 2021 e i creditori privati non hanno partecipato, sebbene si trattasse di una riformulazione della scadenza e non di un condono».

Certo, l’eliminazione del debito è la strada da percorrere. Tuttavia, gli studi della Banca mondiale mostrano come i Paesi che hanno beneficiato di un condono in passato sono di nuovo al punto di partenza. Che fare, dunque? Come evitare che ricadano in una situazione simile? «Questi Paesi hanno enormi necessità di investimento in sanità, istruzione e infrastrutture», puntualizza Rivetti, «il debito esterno è necessario. Ci sono due fattori che possono contribuire a renderlo sostenibile. Il primo è garantire la massima trasparenza sulle condizioni dei prestiti ed il loro uso: ciò genererebbe maggiore responsabilità nelle decisioni e una limitazione dei casi di corruzione. L’altro fattore è rafforzare la capacità dei Paesi debitori di analizzare, in maniera indipendente, costi e benefici dei progetti da finanziare».

Un percorso di sensibilizzazione non può prescindere dal contributo di enti come Caritas. Aloysius John, infatti, evidenzia come sia «indispensabile sostenere e rafforzare l’azione delle organizzazioni della società civile, permettendo loro di essere la voce di chi non ha voce. Questo processo deve essere avviato per controbilanciare e mettere in discussione le pratiche corrotte dei governi. La conversione del debito – prosegue John – deve essere incoraggiata così che i fondi ottenuti possano essere usati per lo sviluppo comunitario. I poveri hanno bisogno di essere accompagnati attraverso progetti di sviluppo che permettano loro essere autonomi, vedere garantita la propria dignità e diventare protagonisti dello sviluppo locale».

L’Osservatore Romano – 11/1/2022