Lavoro e passione, indagine e curiosità, poi ascolto e immedesimazione. Esplorare, tessere, ricostruire. È questa la catena di montaggio di chi va in cerca di storie. Comuni, sconclusionate, sbagliate. Sono le storie della gente speciale. Lo cantava De André.

Oggi Elena trova davanti a sé Luigi. Lettore incallito, conoscitore della letteratura non pentito, Luigi si muove in tutta Roma per vendere libri usati. Rari, profumati, ingialliti. Intonsi. Bellissimi. A volte cuciti, altre volte così intatti da sembrare nuovi. Prendono una strana piega i libri usati: è la piega delle storie degli altri. Mescolano proprietari, polpastrelli, ricordi. Forse anche batteri. O virus. Ma conservano sempre la loro essenza. Intimi e imprescindibili, si aprono allo sconosciuto. Attirano la curiosità. Compongono l’eredità.

«Ho passato la mia vita nei mercati rionali di Roma», esordisce Luigi, «Porta Portese, Centocelle, Testaccio… inizialmente con mio padre, che mi ha insegnato il valore di un libro. M’invitava sempre a domandarmi non quanti libri avessi, ma quanti non ne avessi. Ho dedicato la mia vita a questo mondo. Ma non andavo in cerca del testo perfetto e adatto a me. Io ho indagato le forme, la rilegatura, il colore e la disposizione delle pagine. Poi il lessico, le trame, gli scrittori, i personaggi, i contesti storici. Ogni cosa. Crescere in mezzo ai libri mi ha permesso di vivere il mondo. Un libro non è fatto solo per essere letto. Ma, innanzitutto, è fatto per essere desiderato, comprato, posseduto, vissuto. La mia attività è parte di questo processo: io creo un collegamento tra l’oggetto e il soggetto, tra il testo e il lettore, tra la realtà e il desiderio. Perché i libri usati? Beh, ho trascorso la mia adolescenza a leggere i testi scarabocchiati e graffiati di mio padre. Oggi faccio questo lavoro per puro masochismo. Mi alterno tra gli scaffali delle biblioteche e le mura delle librerie. Ma non ho mai dimenticato la missione del mio lavoro: io sono un distributore di racconti, un diffusore di parole, un amplificatore della vita degli altri. Per questo cerco sempre di trasmettere qualcosa al cliente: gli parlo degli autori, dello stile, delle mie impressioni. Narrare, prima ancora di vendere».

Elena: «È proprio questo il valore aggiunto che dovrebbero avere i negozi. Stabilire un contatto. Condividere. Incontrarsi. Così un’attività fisica può distinguersi e valorizzarsi rispetto ai venditori online. Soprattutto per quanto riguarda il mondo dell’arte. Eppure, il contatto umano è sempre più difficile. Non solo con la pandemia, ma anche prima: le persone sembrano indifferenti, sospettose. Non trova?».

Luigi: «Spesso le persone sono disinteressate. Allergiche verso le proprie origini. Non indagano: non fanno domande e non cercano risposte. Non si relazionano con ciò che resiste nel tempo, con il classico. Ad esempio, Roma è piena di quartieri con strade dedicate ad artisti. C’è l’Esquilino con piazza Dante e via Foscolo. Ma anche Montesacro Alto, con via Ojetti e via Capuana. Eppure, per le strade non c’è neanche un profilo di queste persone: non si sa chi siano, cos’hanno fatto, il motivo per cui quella strada gli è intitolata. E a pochissimi interessa. Il rischio di tutto ciò? Campare per sentito dire. Conoscere i nomi, non le persone. Non avere mai occasione di fermarsi a leggere, capire. Faccio un altro esempio. Ultimamente, nelle librerie in cui lavoro, in occasione delle ricorrenze di Roma, ho adibito gli spazi esterni mettendo in esposizione opere particolari. L’ho fatto per il compleanno della città, il 21 aprile, o il 4 giugno, giorno della liberazione di Roma. Ma le persone passavano davanti senza mostrare interesse. Camminavano di fretta, con la testa china sullo smartphone, borbottando. Con la pandemia e le mascherine, poi, figuriamoci. È andata meglio in occasione della commemorazione del compleanno di Alberto Sordi. Certi volti i romani non li dimenticheranno mai. Ecco, Roma avrebbe bisogno, oggi più di prima, di simboli. Ne abbiamo avuti tanti tutti insieme: Sordi, Fabrizi, Manfredi… l’identità di questa città si fonda soprattutto sul riconoscimento del carisma». Ed in mezzo a tutto ciò entrano in gioco i libri. Oggetti dalla forma di mattoni, è vero. Ma che non servono a costruire muri. Bensì, a edificare certezze. Basta allungare la mano. Possibilmente con i guanti della fantasia e della protezione. Un po’ come il guanto di Guglielmo da Baskerville ne «Il nome della Rosa», usato per sfuggire al veleno dell’Abate. Si legge per navigare, relazionarsi, tramandare. Elena lo sa e, di fronte alle parole del libraio, resta incantata.

Luigi: «Lei sa che i libri, come gli uomini e le foglie, respirano? I libri sugli scaffali ci danno fiducia. A quelli ancora immacolati dedichiamo promesse. Perché comprando un libro si compra anche il tempo: quello che si avrà per leggerlo o, ancor più affascinante, quello che non si troverà mai. I libri della letteratura romana, poi, respirano in modo particolare. Sulle spalle della letteratura romana non ci sono solo grandi racconti e personaggi, ma anche epoche storiche, dialetti, stili narrativi. Le orazioni di Cicerone, i sonetti di Gioachino Belli e Trilussa, l’ironia di Flaiano. Roma è, volendo parafrasare Hermann Hesse, «una biblioteca della letteratura universale». Io credo che, se Roma per essere amata dev’essere vista, è altrettanto vero che Roma per essere amata dev’essere letta. E noi romani siamo i soli a poter mantenere accesa questa fiamma fatta non solo di sanpietrini, nasoni e buche, ma anche di letteratura».

Tutto d’un tratto, Elena si ferma. Percepisce gli anni, gli sforzi, i sogni che hanno accompagnato la vita di Luigi. E comprende la metafora dei libri usati, associandola alla complessità della vita: il viaggio da mete sicure e protette verso mete indefinite e sconosciute. Dall’autore che partorisce la storia al tipografo che stampa. Dalla libreria al lettore, dal libro che scompare o finisce di nuovo tra gli scaffali di un negozio. Così come dalla pancia della mamma l’uomo passa alla luce del giorno. Dai banchi di scuola alle strade, in cerca di un lavoro. Dai sogni su un cuscino alle gioie sotto il cielo ricoperto di stelle. Questo viaggio, complesso ma affascinante, è un po’ quello di tutti noi. Di fronte a tutto ciò, ad Elena scende una lacrima lungo la guancia. Il resto è tutta un’altra storia.


L’Osservatore Romano – 19/6/2021