Gong. La campanella suona, le scuole riprendono. Questa settimana a Roma hanno riaperto le 2.280 scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado. In termini assoluti, le scuole statali romane sono quelle che accolgono più alunni in tutta Italia. Secondo l’ultimo rapporto di Openpolis sulla Capitale, si tratta di quasi 300 mila ragazze e ragazzi. Oltre 100 mila nelle primarie, 70 mila nelle medie inferiori, quasi 72 mila nei licei, 28 mila negli istituti tecnici, 14 mila nelle scuole professionali.
Le assicurazioni con le quali si è ripartiti sono state diverse, in relazione ai punti più critici: dalle 1.500 corse in più previste dall’Atac per compensare la riduzione della capienza del 20% a bordo dei mezzi, alle entrate negli istituti, spalmate tra le 8 e le 9.30 per evitare assembramenti, al 97% del personale scolastico vaccinato.
La realtà poi presenta tutti i problemi che chiunque, a Roma, immagina e conosce. Ad Ostia la chiusura di tre fermate della linea ferroviaria Roma-Lido (Stella Polare, Castel Fusano e Cristoforo Colombo) ha generato il caos. Le attese per un treno hanno toccato i quaranta minuti. A ciò si aggiunge il problema delle scuole vicinissime tra loro dove, seppur con ingressi scaglionati, si creano tanti problemi di mobilità. A Bravetta, ad esempio, ci sono quattro istituti sullo stesso marciapiede: Malpighi, Montale, Ceccherelli e Volta. Mentre è dall’autunno del 2020 che sono chiuse le fermate della metro B Castro Pretorio e Policlinico. Il trasporto pubblico in questa zona non è utile solo per scuole vicine tra loro come Plinio, Machiavelli e Da Vinci. Ma anche per un’università enorme e importante come La Sapienza. Per le sue migliaia di studenti, per tutti i docenti e il personale universitario.
C’è poi il problema delle cattedre vacanti: un quotidiano nazionale ha segnalato che nel Lazio mancano ancora all’appello 2.800 docenti, di cui 1.600 tra Roma e provincia.
«Nuovi collegamenti e nuovi orari, ma su vecchi binari» recitava uno slogan pubblicitario. A Roma nulla sembra cambiato. Si può parlare di digitalizzazione e assembramenti, ma il problema resta uno: l’insoddisfazione di cittadini inascoltati. L’esperienza passata, apparentemente, non insegna niente. Soprattutto se si pensa che, a questi problemi, se ne aggiungono altri che riguardano più strettamente e umanamente i ragazzi. C’è la dispersione scolastica e la povertà educativa. Il mondo fuori gli istituti e i problemi economici per affrontare l’anno scolastico. Un altro lato della realtà. Interessante ma sconosciuto. Spesso crudele e ingiusto. «A scuola non è cambiato niente rispetto a prima», dice a questo proposito una ragazza di un istituto a Roma sud, «i problemi sono sempre gli stessi: crepe sul soffitto e proiettori che non funzionano. Parlano di “scuola in sicurezza” e il cortile sembra una giungla. Ma ci sono abituata. Non mi spaventa tanto il presente. Ho paura del dopo. Di quando potrebbero richiudere le scuole e costringerci a tornare a casa. Lì, per me, cambia tutto. Noi non studiamo il greco o lo spagnolo. Noi studiamo chimica applicata e tecniche di allevamento. Ma come fai a studiare tutta ‘sta roba sulla scrivania di casa? Siamo già stati costretti a rinunciare non solo alla scuola in presenza, ma soprattutto a gite, campi scuola o alle autogestioni. I miei fratelli parlano spesso di quei momenti che hanno potuto vivere. E io? Che racconterò? Della connessione internet instabile, dei rumori di sottofondo o dei post-it sul computer per le interrogazioni? Non sono solo cose che accadono. Sono stati d’animo. Questo è il mio ultimo anno e non voglio rinunciare, almeno, ad andare a scuola».
Accanto a lei c’è un altro ragazzo. «Ma non è solo colpa degli altri. Pure noi stiamo in mezzo a tutto ciò e ce lo facciamo andare bene. Qualcuno ha capito se i ragazzi preferiscono stare a casa, usufruendo di tutte le innegabili comodità delle lezioni a distanza, oppure tornare a scuola in presenza? Abbiamo fatto proteste, incontri, dialoghi. Ma nessuno ha capito niente di noi. Non c’è una voce unica. Siamo tutti divisi e distratti. A ‘sto punto ci tocca studiare e basta. Prima usciamo, meglio è».
Il dialogo tra i due continua. Osservandoli, si capisce che le parole chiave sono tante. La prima è sicuramente sconsolatezza. Quando si fanno certe domande, i ragazzi allargano le braccia, sospirano e, alcuni, tirano fuori tutto ciò che pensano. E cercano di farci sentire parte di loro. Apparentemente, quando camminano in gruppo o con la testa china sul telefono, possono sembrare indifferenti. Ma non lo sono. Anzi. Si accorgono di tutto e di tutti. Perché nascondono incertezze, necessità, angosce. Ma hanno voglia e bisogno di confronto. Di condividere le incertezze. Di trovare qualcuno che abbia altrettanti dubbi o che, al contrario, riesca a parlargli del futuro attraverso le proprie certezze. A volte, poi, si sentono troppo piccoli per parlare di certi problemi. Lo si intuisce dalle loro voci. Da come balbettano o da come cambiano tonalità non appena passa un adulto o un professore.
Fuori da un liceo della Garbatella s’incontrano anche ex studenti intenti a vendere libri usati. «So bene cosa significa pensare ogni anno al costo dei libri e del materiale scolastico. È un pensiero per i nostri genitori. Ma anche per noi: l’idea di dover pesare economicamente sulla famiglia. Dover cambiare libro solo perché è uscita un’edizione nuova. Cercare il sito online o la libreria che fa risparmiare. Io coi libri usati vengo incontro agli altri. E mi metto da parte qualche soldo».
In effetti, se si scava nei dati, si conferma la realtà. Il costo medio per l’acquisto dei libri scolastici si aggira sui 370 euro per il terzo anno del liceo classico, 310 per lo scientifico e per gli istituti tecnici. Per le famiglie in maggiore difficoltà una cifra del genere può significare un terzo di uno stipendio mensile. Questi sono problemi che si conoscono da tempo. Ma chi ci pensa? I fondi del PNRR destinati alla scuola (12 miliardi di euro) riusciranno a colmare un divario che non è solo logistico, ma soprattutto umano? Al di là dello Stato, gli operatori scolastici avranno la capacità organizzativa di gestire tutto ciò?
Infine, sulla strada del vecchio liceo di chi scrive, in zona Montesacro, si fanno tanti incontri. Questo, per esempio. «Che devo di’… parlano di efficienza e tra una settimana chiudono la scuola per la disinfestazione. Adesso. Dopo tutto il tempo che hanno avuto. E neanche ci fanno recuperare con la didattica a distanza. Noi stiamo al linguistico e dopo una settimana ancora non abbiamo il professore d’inglese. Mo’ dicono che manderanno una supplente. Boh…».