È la prima volta che un presidente sudcoreano in carica viene arrestato. Alle 10.33 di mercoledì 15 gennaio — ore 2.33 italiane — Yoon Suk-yeol è stato arrestato con l’accusa di «insurrezione e abuso di potere», cioè per aver proclamato, 43 giorni fa, la legge marziale.
A ulteriore testimonianza del caos che sta separando un Paese socialmente fragile, grandi folle di persone si sono riversate fuori dalla residenza presidenziale per manifestare chi a favore e chi contro l’arresto di Yoon. In effetti, negli ultimi giorni i sondaggi sul voto rappresentavano una certa divisione: Gallup Korea e Realmeter hanno riportato che, nonostante il tentato golpe e il seguente impeachment, il partito conservatore di Yoon (People power party, PPP) ha mantenuto un consenso tra il 34 e il 40 per cento, solo di poco inferiore a quello del Democratic Party (DP), tra il 42 e il 48 per cento.
Secondo gli stessi sondaggisti, peserebbe soprattutto la differenza generazionale — ancor più forte in un Paese dove si fanno sempre meno figli. In Corea del Sud gli over 60 si scambiano informazioni tramite YouTube, diffondono commenti secondo cui la legge marziale dichiarata da Yoon era inevitabile, dicono che le elezioni parlamentari dello scorso aprile — in cui hanno vinto i democratici — sono state truccate e provano una certa nostalgia nei confronti dei movimenti conservatori, ritenuti centrali ai fini dello sviluppo economico degli anni Settanta. Sebbene giovani sudcoreani si trovino pure tra i sostenitori di Yoon — spesso sono cristiani evangelici, legati a Donald Trump e fedeli allo slogan «stop the steal» — in opposizione agli over 60 si pongono invece studenti e giovani donne, che allargano la loro lotta ai diritti dei lavoratori, alla giustizia climatica e alla parità di genere.
Dietro l’immagine di un Paese spesso basata sui grandi marchi tecnologici, sul K-pop e su serie-tv come “Squid Game”, si nasconde invece un senso di malessere latente, alimentato a sua volta da certe dichiarazioni politiche. Dopo aver resistito a un primo tentativo di arresto, avvenuto lo scorso 3 gennaio per aver ignorato tre citazioni in giudizio e sventato dal suo servizio di sicurezza, Yoon ha detto che «sebbene si tratti di un’indagine illegale, ho deciso di accettare di presentarmi all’Ufficio investigativo sulla corruzione per alti funzionari (Cio) per evitare un orribile spargimento di sangue», ma «lo stato di diritto della nazione è completamente crollato». Allo stesso modo, la scelta di restare in silenzio di fronte ai primi interrogatori, durati oltre due ore, sembra andare nella direzione di mantenere alto il consenso tra i conservatori.
Nel frattempo, però, la stabilità internazionale della Corea del Sud — potenza di riferimento nell’Indo-Pacifico, specie per gli occidentali — sembra sempre più a rischio. Dopo l’arresto di Yoon, il Giappone si è affrettato a ribadire che le relazioni bilaterali «non cambieranno». Tokyo teme che i progressi fatti negli ultimi anni siano spazzati via da una nuova amministrazione, specie perché in Corea del Sud le voci di chi si oppone a una riconciliazione con i nipponici, a causa dell’occupazione della penisola coreana dal 1910 al 1945, non si sono mai placate.
Gli Stati Uniti ritengono la Corea del Sud e il Giappone alleati imprescindibili, perciò anche Washington mantiene alta l’attenzione sul fronte interno. Specie perché, a nord del trentottesimo parallelo, Pyongyang sta invece rafforzando la sua appartenenza al fronte antioccidentale. Dopo i video che testimoniano la presenza di soldati nordcoreani in Ucraina, diffusi dall’Intelligence ucraina, la Corea del Nord ha lanciato martedì missili balistici a corto raggio nel Mar Orientale.
L’Osservatore Romano – 15/01/2025