Nella notte tra il 25 e il 26 aprile l’università parigina di Sciences Po è stata occupata da studenti sostenitori della causa palestinese. Obiettivo: ottenere «la chiara condanna delle azioni di Israele da parte del nostro istituto». Pochi giorni dopo, anche alcuni studenti della Sorbona si sono mobilitati contro «la complicità della nostra università con il genocidio in corso in Palestina».
Nel Paese che ospita la più grande comunità musulmana (circa 5 milioni di persone) ed ebraica (circa 500.000 persone) d’Europa, i rischi di uno scontro civile vanno ben oltre i confini universitari. Un recente articolo pubblicato su “Le Monde” ha notato come ad essere «in preda al conflitto in Medio Oriente sia l’intera società francese».
Tuttavia, le accademie rappresentano meglio di qualsiasi altro luogo questa spaccatura. Innanzitutto perché, pensate per il dialogo e il confronto, molte di esse sono finite per essere oggi luogo in cui ci si incontra solo tra chi condivide le stesse idee.
Certo, non si può prescindere dal fatto che, secondo gli ultimi sondaggi, dentro le università francesi il 14 per cento degli studenti dice di essere di destra e il 71 per cento si dichiara di sinistra. Dunque, è per certi versi naturale che, di fronte a temi così caldi per la società, gli studenti non perdano occasione per manifestare la loro posizione – spesso condivisa da partiti di sinistra come «La France insoumisme» di Jean-Luc Mélenchon.
Al di là dell’appartenenza partitica, c’è però una ragione identitaria che sembra muovere i giovani manifestanti francesi: schierarsi a favore della Palestina significa dimostrare distacco e ostilità verso il passato imperialista del proprio Paese. Quindi, significa promuovere una battaglia delle idee basata su una propria reinterpretazione della storia.
Nulla di illegittimo, se non fosse che questo processo viene portato avanti con la pretesa di cancellare il passato e negare il confronto con chi la pensa diversamente. I mezzi utilizzati ne sono chiara rappresentazione: richieste di dimissioni, occupazioni, blocco degli ingressi, manifestazioni contro personaggi pubblici cui viene impedito di parlare.
In effetti, la storia insegna che il fenomeno woke fu importato proprio dalla Francia negli Stati Uniti contestualmente allo sviluppo dei movimenti attivi per la difesa dei diritti civili (anni Sessanta). Oggi l’intesa tra Parigi e le accademie statunitensi in cui si stanno svolgendo manifestazioni simili è evidente. «C’è una doppia laurea tra Sciences-Po e la Columbia a New York, quindi abbiamo compagni di classe lì e gli studenti comunicano tra loro», ha spiegato a “Liberation” un membro del comitato Sciences-Po Palestine.
Se il declino del pensiero inizia dalle accademie, allora gli echi del caos parigino lasciano un insegnamento piuttosto allarmante: la Francia non sembra più conoscere i suoi giovani. Un paradosso, se si pensa che il presidente francese Emmanuel Macron ha appena tenuto un discorso sul futuro dell’Europa proprio in un’università (la Sorbona).
I modi attraverso cui i giovani manifestano la propria idea politica sono cambiati. Nel 2022 più del 40% degli under 35 francesi si è astenuto al primo turno delle presidenziali. Fuori dalle logiche del partito, essi preferiscono manifestare la loro opinione su argomenti specifici (clima, guerre, diritti) secondo modalità ben definite.
Non tutti i ragazzi la pensano allo stesso modo. Settimane fa un istituto di ricerca di Sciences Po aveva pubblicato uno studio in cui si affermava che oltre il 50 per cento dei giovani intervistati si dice pronto ad arruolarsi in caso di guerra: se la teoria woke condivisa da tantissimi studenti si basa sul pacifismo, chi sono questi ragazzi? Altre università (Lille o Nanterre) sono alle prese con gli stessi fenomeni di Sciences Po e la Sorbona, ma è possibile che vi sia una differenza antropologica tra i giovani parigini e quelli di altre città francesi?
Intanto, «l’ideologia del risveglio» non convince affatto il resto della società francese. Il presidente Emmanuel Macron e il primo ministro Gabriel Attal lo hanno capito, ma l’opposizione al woke appartiene storicamente alla destra. E la possibilità che siano Rassemblement National e Repubblicani a formare le nuove maggioranze è sempre più vicina.
L’Osservatore Romano – 02/05/2024