I mille soldati statunitensi impegnati in Niger lasceranno il Paese. La decisione è stata presa a Washington dopo un incontro fra i diplomatici americani e Ali Mahamane Lamine Zeine, il primo ministro nigerino nominato a seguito del colpo di Stato avvenuto lo scorso 26 luglio. I golpisti hanno denunciato l’accordo di cooperazione militare firmato nel 2012 con Washington perché sarebbe stato «imposto unilateralmente» dagli Usa.

È così che il Paese posto a metà tra Sahel e deserto, esteso per oltre un milione di chilometri quadrati ma senza sbocco sul mare, ricco di risorse come uranio, petrolio, gas e oro, si conferma un tassello fondamentale della «terza guerra mondiale a pezzi».

Mentre gli ultimi soldati americani si ritirano, a gennaio la Federazione Russa ha accettato di «intensificare» la cooperazione militare con il Niger. Lo scorso 10 aprile un centinaio di uomini dell’Africa Corps, la nuova forza paramilitare russa nel Sahel, sono arrivati a Niamey. Ma i russi non sono da soli: circa 250 soldati italiani e 100 soldati tedeschi sarebbero presenti sul territorio come parte degli accordi bilaterale per l’addestramento delle forze armate in Niger. Qui la Francia vantava la sua tradizionale sfera d’influenza e contava 1.500 militari in attività ma, dopo il golpe militare, ha chiuso l’ambasciata e ritirato le truppe.

Limes – carta di Laura Canali (2017)

Per Roma e Berlino il dilemma ora è tutto strategico: restare anche scendendo a compromessi oppure andarsene col rischio di lasciare campo libero a Mosca e al nuovo regime militare?

I tedeschi vorrebbero mantenere la presenza in Niger seppur riducendola. Gli italiani, invece, lo scorso 11 aprile hanno annunciato la ripresa delle missioni di addestramento dei soldati in Niger e l’aumento dell’organico a 500 uomini. Obiettivo: garantire pace e stabilità – come ribadito dal ministro degli Esteri Antonio Tajani – in un Paese crocevia per la migrazione che dal Sahel conduce alla Libia e, infine, alle coste italiane.

Centralità territoriale, pressione migratoria, abbondanza di risorse: i motivi per cui così tanti Paesi vogliono stare in Niger sono chiari. Eppure, nel 2021 le Nazioni Unite avevano classificato il Paese come il meno sviluppato al mondo. Con il Covid-19, la crisi alimentare ed energetica alimentate dal conflitto in Ucraina e le sanzioni imposte dalla comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) a causa del colpo di Stato, la situazione non è per niente migliorata.

E, a farne le spese, sono i nigerini stessi. Secondo gli ultimi report dell’agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr), su una popolazione di oltre 24 milioni di abitanti, in Niger ci sono più di 850.000 sfollati e 370.000 rifugiati. Almeno l’80 per cento di questi sono donne e bambini ma, dal momento che la loro presenza non viene quasi mai registrata, vengono dimenticati da tutti e, prima di partire, possono essere sfruttati in qualsiasi modo.

Il traffico di esseri umani e lo sfruttamento della manodopera nelle miniere sono attività diffusissime in Niger. A causa dei tanti conflitti regionali e del traffico illegale di armi, criminalità e terrorismo dilagano. Lo scorso marzo 23 soldati nigerini sono stati uccisi in un’imboscata dei terroristi. Giorni prima Niger, Mali e Burkina Faso avevano annunciato la creazione di una forza armata contro il terrorismo jihadista. Intanto, un nuovo rapporto Onu ha rivelato che, nel 2022, nei Paesi del Sahel (Niger, Mali, Ciad e Burkina Faso) sono stati sequestrati 1.466 chili di cocaina.

Di fronte a una situazione tanto caotica, c’è spazio per una buona notizia: secondo un rapporto della Banca africana di sviluppo, il pil del Niger potrebbe aumentare dell’11,2 per cento nel 2024, dopo una crescita del 4,3 per cento nel 2023. Sarebbe la crescita più alta nel continente africano. Ma il rischio è che, in un Paese fra i più poveri al mondo, senza riforme strutturali adeguate i benefici continuino ad andare nelle mani di pochi.

L’Osservatore Romano – 26/4/2024