La rivoluzione del merito di cui parla Luca Ricolfi nel suo ultimo libro (La rivoluzione del merito, Rizzoli, 2023, pagine 216, euro 18) appare auspicabile quanto impossibile: la società contemporanea sembra disinteressata a premiare chi è più meritevole probabilmente perché non è neanche capace di definire il merito stesso. Il demerito viene fatto coincidere con la bocciatura: l’alunno non raggiunge buoni risultati e deve ripetere l’anno, processo brutale tanto per il morale dello studente quanto per il ruolo sociale dell’insegnante. Ma il merito? Se bocciare significa scremare verso il basso, come si fa a premiare verso l’alto? Come si rende onore all’etimologia della parola che, dal latino merere, significa ottenere e quindi conquistarsi un riconoscimento a seguito di un’azione ben svolta?

Innanzitutto, occorre chiarire su quali criteri va valutato un alunno. No, prendere buoni voti non significa essere una persona matura, tanto meno chi ottiene risultati scarsi dev’essere considerato un fallito. Certo, i criteri oggettivi non possono essere trascurati, tuttavia possono essere accompagnati da altri parametri: la condotta, la socializzazione e la capacità di fare squadra, la curiosità intellettuale, l’impegno, la passione e gli interessi, l’ars oratoria, la scrittura.

Il merito non è solo «per ricchi» o «per intelligenti». Meritevole non potrebbe essere anche chi, partendo da risultati pessimi e pur non raggiungendo mai i pieni voti, avvia un progressivo percorso di miglioramento? Lo stesso dovrebbe valere per chi studia e nel frattempo lavora o s’impegna socialmente, chi pratica sport a livello agonistico, chi fa volontariato, chi ha scarse disponibilità economiche e, nonostante ciò, ottiene notevoli risultati.

Insomma, perché chi non studia viene bocciato ma chi eccelle accademicamente o umanamente non ottiene alcun riconoscimento? Perché, citando l’introduzione del libro di Ricolfi, «nella vita di tutti i giorni non abbiamo alcun problema a scegliere il cuoco più bravo, il chirurgo più esperto, la scuola migliore per i nostri figli, o ad ammirare l’artista più originale, il calciatore che segna più goal, la scienziata che fa una grande scoperta» ma «non appena si parla di studenti e studentesse, tutto cambia?».

Dietro la questione del merito pare nascondersi un malinteso: si ha paura di premiare chi è più meritevole perché non si vuole far restare indietro né penalizzare gli altri. Un problema di bilanciamento che di fatto trova nella radicalità la soluzione finale: pochissimi bocciati (il 96,4 per cento degli studenti italiani è stato ammesso alla maturità nel 2023), tutti promossi, nessun premiato.

Se prima il rischio era che la bocciatura mortificava i meno capaci, ora la realtà è stata capovolta: i più meritevoli non hanno alcun motivo per impegnarsi o per personalizzare il proprio percorso. Anzi, l’entusiasmo si spegne, i sogni si appiattiscono, si finisce per diventare tutti uguali. E chi è bravo avrà due soluzioni: andare via dal paese d’origine o smettere d’impegnarsi.

Di chi e di cosa ha bisogno questa società? Non c’è forse estrema necessità di persone dotate di carisma, strategia, ampie vedute e capacità di sintesi? Di fronte alla rivoluzione tecnologica, non si avrà sempre più bisogno di passione nel proprio lavoro e di veder riconosciuto l’impegno umano? Cosa accadrebbe ad esempio se, come suggerisce Ricolfi nella parte finale del libro, venissero incrementate le borse di studio ai meritevoli privi di mezzi sufficienti? E se non si ricorresse solo a premi economici o fiscali, come l’azzeramento delle tasse universitarie per chi si diploma con 100 e lode? Esperienze di studio all’estero, corsi di lingue straniere, sport, musica, contatti col mondo universitario, una prima ma approfondita conoscenza del mondo del lavoro: questi e altri strumenti, oltre ad essere necessari a tutti gli studenti, non dovrebbero essere accessibili in primis a chi s’impegna e raggiunge risultati notevoli?

Diversificare e valorizzare non significa lasciare indietro. Piuttosto, significherebbe incentivare tutti a fare meglio, creare modelli positivi vicini ai giovani, dare maggiore attenzione alla crescita. Perciò il merito va non solo premiato, ma anche stimolato.

Un sistema educativo potrà dirsi compiuto quando chiunque, tanto gli alunni quanto i professori, una volta uscito dalla scuola, si sentirà diverso, più curioso, consapevole, aperto, educato, quando chiunque avrà gli strumenti necessari per comprendere le proprie passioni e sapere come metterle a frutto.

L’Osservatore Romano – 15/09/2023