Avrà avuto problemi psicologici? Era un bullo? L’Italia diventerà come gli Stati Uniti con le stragi nelle scuole? Oppure era solo un altro adolescente ansioso e depresso? Ma la “generazione Z” sta male? Che il caso del sedicenne finito in stato d’arresto per aver aggredito con un coltello la sua professoressa di italiano, nell’Istituto Alessandrini di Abbiategrasso, non sia giustificabile è evidente e va condannato fin da subito. Ma il fatto che le domande e le riflessioni poste dall’opinione pubblica siano quelle appena elencate e siano tutte incapaci di prescindere dal singolo caso, su cui si pronuncerà la magistratura, dovrebbe far riflettere.

Perché lo sfondo sociale sul quale ci si muove oggi sarà sì pieno di opportunità, grazie ai social network, all’istruzione per tutti, a internet e ai viaggi, ma è anche pieno di contraddizioni. Innanzitutto, la scuola, sistema educativo tradizionale cui pochi ormai riconoscono un ruolo, non sempre riesce a stare dietro a nuove istanze a livello di contenuti, di modalità di insegnamento e apprendimento. Con un duplice rischio: formare docenti poco capaci ad affrontare situazioni psicologiche o sociologiche che vadano al di là del voto o del fatidico «programma da chiudere» e sfornare studenti disadattati, inconsapevoli del futuro, perfetti conoscitori di vita, morte e miracoli dei filosofi ma disorientati alla propria, di vita.

Rischi ancor più concreti oggi perché, c’è da ammetterlo, non esistono luoghi fisici di riferimento. Social network, discoteche, serie tv, letto e divano hanno sostituito oratori, muretti, parchi, aule universitarie. Non va meglio nelle mura di casa. A tanti genitori basta “essere tranquilli” per stare bene. Perciò gli adulti non stimolano, difendono a spada tratta, dimenticano il senso e il ruolo dell’autorità, cercano di diventare protagonisti della vita dei figli.

Ecco emergere lo sfondo sul quale tutto sembra muoversi e di cui tutti siamo allo stesso tempo vittime, dagli studenti ai docenti ai genitori: la crisi antropologica, l’identità che si assottiglia per farsi spazio nella collettività e nel gruppo, ma che resta smarrita davanti a un ostacolo da affrontare singolarmente.

Le voci di alcuni giovani ce lo confermano. «Tante volte i miei amici rinunciano a delle esperienze a causa dell’ansia — dice al nostro giornale Camilla, liceale — non si tratta, però, dell’agitazione normale causata dall’incontro con qualcosa di nuovo, ma proprio di una sensazione paralizzante, talmente pesante da sopportare che ti convince a fare un passo indietro, a rinunciare. La situazione peggiora quando ci si rende conto che chi ti circonda non è in grado di capire né di accogliere queste sensazioni».

E non ci sono limiti di età, anzi: Flavia, giovane educatrice, ci racconta come «negli ultimi anni ho visto sempre più bambini soffrire a causa dell’ansia e questo, molto spesso, è causato dagli atteggiamenti dei genitori. Compiti, sport, tornei, concorsi e gare riempiono la quotidianità dei bambini. Le aspettative che tutti nutrono verso le nuove generazioni si riversano su di loro che, purtroppo, non hanno gli strumenti giusti per gestire questi carichi».

«Che senso ha studiare ore ed ore per uno spettacolo e poi rischiare di doversi ritirare a causa dell’ansia?» si domanda Elisa, neodiplomata al conservatorio, secondo cui «l’esibizione, il concerto e i concorsi sono sì momenti importanti, ma non possono né devono diventare il centro della nostra vita perché, nel caso in cui si dovesse fallire, tutto il proprio mondo rischierebbe di crollare». Gabriele, giovane psicologo nelle risorse umane di Ferrari, insiste «sull’importanza del lavoro strettamente cognitivo ed emotivo. Pensiamo alla Formula 1 e al supporto del compagno di squadra, al tecnico, a chi comunica con il pilota attraverso la cuffia e, perché no, agli atleti di squadre opposte che in quel momento vivono la stessa identica esperienza».

La violenza non è mai la risposta adatta. E no, non abbiamo soluzioni né interpretazioni da proporre. Abbiamo solo la speranza che qualcuno tra voi adulti, docente o psicologo, esperto o inesperto, si avvicini, rompendo quella apparente barriera tra giovani e mondo esterno, per interrogarsi insieme a noi su cosa significa essere costantemente sottoposti all’ansia, all’attesa di giudizio, alla ricerca del merito. Quasi sicuramente finiremmo per avere temi in comune su cui iniziare a dialogare e per darvi le risposte che tanto cercate.

di Guglielmo Gallone e Valentina Contiero

L’Osservatore Romano – 02/06/2023