L’Egitto, uno dei sette Paesi confinanti con il Sudan, è sempre più a rischio di scivolare in una pericolosa crisi economica e sociale. Il Cairo attraversa una fase controversa dall’era delle “Primavere arabe”, ma ora si sono intrecciati altri fenomeni: il collasso economico alle porte, alimentato dalle onde d’urto della pandemia e della guerra in Ucraina, e l’incapacità di stabilire una vera proiezione regionale o internazionale.

Il Fondo monetario internazionale ha rinviato la revisione di un programma di salvataggio da 3 miliardi di dollari per l’Egitto. Altri finanziamenti promessi dai Paesi del Golfo tardano ad arrivare poiché i fondi concessi in precedenza sembrano aver avuto poco effetto. A marzo l’inflazione ha toccato il 31,9%: l’aumento più marcato è quello dei prodotti alimentari (+14,4% su base mensile). La Banca centrale egiziana ha quindi alzato i tassi d’interesse, seguendo una logica però poco adeguata perché lo shock inflattivo è legato alla scarsa offerta di beni, come quelli alimentari, la cui domanda non diminuirà. Preoccupati dall’interruzione dei finanziamenti, da una moneta debole e in rapida svalutazione come la sterlina egiziana, gli investitori sembrano pronti a lasciare il Paese.

Alle tensioni interne si aggiunge la guerra nel vicino Sudan: dramma umanitario — a neanche un mese dall’inizio del conflitto, 14.000 sudanesi e 2.000 cittadini di altre nazioni sono fuggiti in Egitto, molti sono fermi al confine — e geopolitico. I due Paesi condividono oltre 1.200 chilometri di confine. Il triangolo di Hala’ib è sotto sovranità del Cairo ma rivendicato da Khartoum. Etiopia, Sudan ed Egitto si contendono inoltre i flussi del Nilo Azzurro.

Vedendo nel Sudan uno strategico punto d’incontro regionale e mirando a stabilire una sintonia internazionale, dopo il colpo di Stato del 2021 il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, ha appoggiato il leader sudanese, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan. Il rapporto tra al-Sisi e al-Buhran sembra continuare anche oggi. Poche ore dopo l’inizio del conflitto, i video dei soldati egiziani fatti prigionieri dalle Forze di supporto rapido (Rsf) nella base aerea di Merowe, nord del Sudan, sono diventati virali. Secondo il «Wall Street Journal», l’Egitto avrebbe inviato aerei da guerra e piloti per sostenere l’esercito sudanese, distruggendo anche un deposito di munizioni controllato dalle Rsf. Al-Sisi ha negato ogni coinvolgimento nel conflitto, sostenendo che i militari egiziani erano in Sudan per l’addestramento congiunto delle forze armate.

Limes – Carta di Laura Canali (2017)

Emerge così l’immagine di un paese tutt’altro che stabile. E la stabilità egiziana dovrebbe interessare non solo al Cairo, ma anche a chi affaccia sull’altra sponda del Mediterraneo, ossia l’Europa. L’Egitto resta paese transcontinentale, ponte di terra fra un Medio Oriente in mutamento — con le tensioni interne allo Stato di Israele, la Siria, il recente accordo tra Iran e Arabia Saudita — e un Nord Africa in crisi, in primis Tunisia e Libia.

Resta aperta la questione del rispetto dei diritti umani nel Paese. Un punto affrontato con una certa timidezza dalle diplomazie occidentali, che vedono nell’Egitto un importante partner energetico alternativo al gas russo. Dopo l’accordo firmato a giugno 2022, l’export di gas naturale liquefatto dall’Egitto all’Europa è cresciuto di oltre il 70% rispetto al 2021. Se aumentano produzione ed esportazioni, aumentano però pure i consumi interni all’Egitto. Che, da ricordare, continua ad avere un tasso di crescita della popolazione elevato, ma un basso rapporto fra occupazione e popolazione in età di lavoro. Lavoratori senza contratto, imprese con scarsa crescita e ruolo dell’economia statale. Quindi, migrazioni di massa verso l’Europa (tra gennaio e ottobre 2022, oltre 16.000 egiziani sono sbarcati in Italia). Tutto ciò pesa sull’armonia di un paese tanto vicino al Vecchio Continente quanto al collasso. Cosa che nessuno può permettersi.

L’Osservatore Romano – 3/5/2023