«A Ostia ce sta tutto». «Sì, ma non ce sta manco niente». «Almeno stai vicino a Roma». «Almeno ce sta il mare, sai d’estate che diventa». Diego, Simone, Alessandro, Daniele, Giovanni, Alessandro, Sara. Hanno tra i 15 e 20 anni. «Io faccio il muratore con mio papà», ci dice Daniele. «Io sto studiando per fare il grafico: guardate che belle locandine creiamo». «Io faccio le pinze in un laboratorio… la pinza, quella romana, quella bona». «Io studio scienze umane». «Io pure. Cioè, ci provo».
Che ci fanno qui, in una chiesa, un sabato mattina, questi giovani? «Noi veniamo a giocare a calcio nel campetto vicino alla parrocchia di Santa Maria Stella Maris». Tutti i giorni. Col pallone si lotta, s’impara, si fa squadra, si gioca coi piedi ben piantati sulle nuvole, altezza fantasia, testa alla realtà. Lui, dicono indicando don Generoso Simeone, il diacono, «è l’arbitro». L’altro è «il prete che c’ha avuto l’idea». E indicano don Cosmo Scardigno. «Quest’estate abbiamo pure organizzato un torneo per Andrea, il figlio della signora Andreina, che ora non c’è più».
Cosmo e Generoso, sacerdote e diacono, Ostia sullo sfondo, il progetto “Un cielo di stelle” con “La comunità pastorale Chiesa in uscita del Borghetto Giovani” della Diocesi di Roma nel cuore. La frattura tra fede e vita, la dispersione scolastica, la disoccupazione giovanile e la criminalità reale: il Borghetto Giovani di Ostia vuole rispondere a queste tematiche facendo comunità, riconoscendo la responsabilità e la centralità degli organismi comunitari, promuovendo l’evangelizzazione.
Ma Cosmo e Generoso non sono soli. Insieme a loro, oltre trenta adulti che si occupano di dare una mano al progetto. Chi realizza i volantini, chi li distribuisce, chi tiene i conti. Con un solo obiettivo: «Noi non vogliamo portare i giovani a messa, non è questo lo scopo — chiarisce don Cosmo parlando a «L’Osservatore Romano» —, avremmo già fallito. I ragazzi hanno voglia e bisogno di divertirsi. Svagarsi. Evadere. Vogliono essere ascoltati. Chiedono spazi che la società non offre. Noi vogliamo rendere tutto questo più facile e accessibile per chiunque».
Ecco allora gli incontri formativi, l’animazione, le catechesi, i punti di ascolto. Tutto in sintonia con le nove parrocchie di Ostia. Difficile, certo, oggi soprattutto. Ma don Cosmo è chiaro: «Noi i giovani li andiamo a prendere. Non aspettiamo che vengano: normalmente, il giovane in parrocchia non ci viene più. E non facciamo distinzioni. Noi prendiamo tutti: chi ha una famiglia alle spalle, chi potrebbe aver imboccato la cattiva strada o chi ha problemi psicologici. Non dobbiamo solo curare. Dobbiamo prevenire. Consapevoli che Ostia è una realtà difficile. E che da un giorno all’altro può cambiare tutto». Soprattutto, aggiunge Cosmo, «non abbiamo paura di andare nei luoghi dei giovani. Dalle piazze ai locali. Di notte, mica di pomeriggio. Usciamo alle undici di sera, il venerdì o il sabato, raggiungiamo le comitive sul pontile di Ostia, offriamo qualcosa da mangiare, distribuiamo volantini, chiacchieriamo e, se loro vogliono, il giorno dopo ci incontriamo in parrocchia». Tutto ciò «rispecchia pienamente il senso della comunità educativa pastorale. Coinvolge in un clima di famiglia giovani e adulti. Cerca l’integrazione. E tiene bene a mente l’evangelizzazione. È questa la Chiesa in uscita di Papa Francesco».
Risultato: «Oltre duecento giovani di Ostia di cui sappiamo tutto. Nome, famiglia, se studiano o se lavorano, cosa interessa e cosa no». Anche perché, ci tengono a chiarire gli adulti che ci accompagnano in questa visita, «là fuori c’è la strada. E la strada di Ostia sa essere brutta». Non è facile convivere coi pregiudizi delle persone, certamente legati a una cultura diversa. Ma, troppo spesso, eccessivi. «Tanti adulti e anziani hanno paura, non vogliono sentire il rumore del pallone, si scandalizzano nel vedere un sacerdote coi giovani a mezzanotte, sono abituati a fare così perché “abbiamo fatto sempre così”».
Invece al Borghetto Giovani è diverso. Si vede dall’accoglienza e dal calore. Dalla voglia di raccontarsi e raccontare. Dunque, eccoli lì. Sulla spiaggia. A maniche corte nonostante il clima. Col risvolto ai pantaloni. L’odore di acne sulle guance. Ritmo e atmosfera. Dignità solenne, disgraziata onestà dei sentimenti. Giocano a pallone, giocano con la semplicità. (In)Consapevoli che, per stare bene, non serve cercare il locale più alla moda, scervellarsi se andare in pista o fare un tavolo in discoteca, postare una foto per far vedere dove si sta passando la serata. Per stare bene, basta stare. Come in un borghetto. Come al Borghetto.
L’Osservatore Romano – 10/3/2023