Affettività perde, sessualità vince. Ma come mai lo spazio per i sentimenti sembra essersi così ridotto? «Perché nella nostra società non c’è più alcuna educazione alle emozioni. Non siamo abituati a esplorare ciò che consente di passare da un sentimento a un pensiero. Siamo la società dell’immediatezza che punta sulla corporeità e che ha abbandonato l’idea di darsi del tempo, meditare, interpretare. Così la sensibilità è diventato un organo poco sviluppato». Di fronte alla scissione tra affettività e sessualità, le parole di monsignor Armando Matteo, teologo e segretario per la sezione dottrinale del dicastero per la Dottrina della fede, sono chiare.

«Ma questa crisi non parte dai giovani — chiarisce Matteo — piuttosto, a pesare è l’assenza di visione ereditata dagli adulti. Se la società non offre alcuno spazio entro cui potersi immaginare, non fornisce alcuna prospettiva di futuro né tanto meno la possibilità di fare sogni concreti, ma investe ossessivamente sulla corporeità e sulla sessualità, sull’apparenza, allora cosa deve fare un giovane? Quante volte i ragazzi si sentono dire “beato te che sei giovane perché hai tante energie e tanta forza, perché puoi fare ciò che vuoi”?».

Ecco la connessione tra giovinezza e corporeità che esclude la parte emotiva. Ed ecco le immagini sui social network in cui ci si mostra sempre in forma, l’ossessione per lo sport, ancor più il culto dei tatuaggi che, evidenzia Matteo, «sono il modo principale attraverso cui il corpo diventa parola del mondo giovanile».

Dove ha inizio questo processo? «Tutto comincia col e nel cambiamento d’epoca di cui Papa Francesco parla spesso — dice monsignor Matteo —, è come se l’umanità, dopo aver avuto per anni una bicicletta, si fosse addormentata e risvegliata con una Ferrari. Tecnologia, economia, farmaceutica. L’umanità è diventata più libera, sana, gli impegni lavorativi più gestibili. Ad approfittarne è il soggetto economico. Che non umanizza queste conquiste, bensì introduce, cinicamente, una forma di narcisismo. Sfruttando un processo, come si legge nella Laudato Si’, rapidissimo e radicale. Forse troppo. Perché c’è stato un miglioramento, certo, ma c’è stato anche uno sbilanciamento. Capace di creare esuberanza. Un’ubriacatura di vita cui non eravamo abituati. E alla quale non ci siamo abituati».

Iconica diventa la figura di Peter Pan, come nota monsignor Matteo nel suo libro “Convertire Peter Pan. Il destino della fede nella società dell’eterna giovinezza” (2020, Ancora): «Viviamo nella negazione del limite. Il mito dell’eterna giovinezza annienta la finitezza e indebolisce l’umanità. Presi dall’egocentrismo, siamo incapaci di pensare. Meno pensieri facciamo, più imbecilli siamo. Riecco il soggetto economicista. E le sue frasi: vi diamo qualcosa per non pensare».

Eppure, qualche esempio positivo sembra esserci. Nell’edizione appena terminata del Festival di Sanremo sono emerse canzoni in cui si parla di sentimenti, affettività. E ai giovani sono piaciute. «Certo — riprende Matteo — nelle canzoni c’è nostalgia di un’umanità diversa. Noi non siamo responsabili dei nostri sentimenti. Noi siamo responsabili dei nostri pensieri e delle nostre emozioni. E ci affidiamo alla musica per dare spazio all’emotività. Ma in senso individuale. Non in senso collettivo. Così, finiamo per parlare principalmente delle polemiche attorno allo show».

Se la musica sembra essere un modo per tornare alla centralità dei sentimenti, esso non è l’unico. «Bisogna leggere — ribadisce monsignor Matteo — educare i giovani a leggere i grandi classici. Soprattutto, leggere il più grande di tutti i classici e la più grande scuola di umanità: la Bibbia. Qui troviamo emozioni, sentimenti e anche la sessualità. Così come necessaria è l’esperienza, parallela, della preghiera».

Ciò richiede, però, un rinnovamento interno alla Chiesa. Di linguaggio e di figure capaci di attirare i giovani. «Tanti manager nel nord Europa rileggono San Benedetto per capire come egli amministrava il monastero. A Roma don Fabio Rosini fa un ottimo lavoro coi giovani. Solo per citare due esempi. Noi dobbiamo spiegare che la Bibbia è il modo in cui, attraverso l’esperienza di altri, Dio ci spiega come funziona la vita umana. Altro che libri di self-help! La religione non serve solo quando si diventa anziani. Bisogna iniziare da domande semplici. Papa Francesco ci prova ogni giorno. Dovremmo fare altrettanto. Consapevoli che il nostro sistema è tollerante, ma anche molto attento a non farci cambiare strada».

L’Osservatore Romano – 17/2/2023