Google vuole eliminare le password alfanumeriche. Per accedere a siti web e app si potrà utilizzare Passkey, sistema di autenticazione basato su misure come impronte digitali, riconoscimento del volto, codici temporanei. Le informazioni ritenute private rimarranno tali perché sarà il sistema operativo, nel caso di Google sarà cioè Android, a riconoscere l’identità dell’utente e a permettere di entrare nell’app. Obiettivo strategico quanto solidaristico: rendere globale l’uso del sistema Passkey e facilitare la vita agli utenti che non dovranno ricordarsi password spesso diverse e complesse.

L’ultima grande novità, l’ennesima importante svolta. D’accordo con la multinazionale Intel, leader nella produzione di dispositivi a semiconduttore, microprocessori, componenti di rete e circuiti integrati, Google vuole anche rendere i data center più sicuri ed efficaci. Come? Attraverso il chip E200. E che cos’è un data center? È un luogo fisico fondamentale per le aziende perché qui sono conservati sistemi di archiviazione come dati, server e storage. Un’infrastruttura che garantisce a tutti i processi informatici di un’azienda di funzionare e memorizzare. Di vivere.

Due operazioni su uno sfondo comune: quello della sicurezza. Di fronte a un incremento senza precedenti degli attacchi informatici (solo tra gennaio e giugno 2022, in Italia, si sono verificati 1.572 attacchi cyber a fronte dei 1.356 casi in tutto il 2021), Google ha anche acquistato Mandiant, società americana leader nella sicurezza contro gli attacchi cyber. Affare da 5,4 miliardi di dollari in un settore, quello della sicurezza digitale, il cui valore dovrebbe raddoppiare da oggi fino al 2026, raggiungendo quota 352,25 miliardi di dollari.

Un sistema di valori

Digitare, cercare, trovare. Tre verbi, tre azioni, un nome: Google. Un luogo, Mountain View, polo tecnologico e veduta su Santa Cruz, pelle d’oca. E una data, 1997. Da venticinque anni. Foto, YouTube, mappe, notizie, email, shopping, documenti, traduzioni, poi sistemi operativi per smartphone come Android. Ma anche Google Scholar, contenitore virtuale di paper accademici utilissimi per la ricerca, e Google Analytics, sistema di raccolta dati fondamentale per analizzare un sito web.

In una parola sola, vastità. Che poi è il significato del termine inglese googol, coniato da Edward Kasner nel 1938 per riferirsi al numero 1 seguito da cento zeri, ripreso dai fondatori di Google Larry Page e Sergey Brin proprio per esprimere stupore (to goggle, cioè stralunare gli occhi) di fronte alla straordinarietà della ricerca.

Perché «tutto cominciò con un problema, che condusse a un algoritmo», ricorda Paul A. Soukup nel suo articolo su “Civiltà Cattolica”: «Come si fa a reperire online ciò che è importante?» Ecco quindi formule matematiche, raccolta dati, peso dei link coi rimandi alle pagine web e algoritmi di ricerca. Lancio della piattaforma, espansione commerciale. Da impresa a istituzione. Non seguendo una costituzione bensì, come common law vuole, una serie di consuetudini. Incognite aziendali divenute azioni consequenziali. Forse perché sostenute da quel sistema di valori di cui Google, negli anni, si è fatto portavoce.

L’intelligenza collettiva, ad esempio. Su Google Maps non ci sono solo mappe dettagliate e interattive, ma fotografie, recensioni, informazioni. Una mole di contenuti collegati tra loro che Google ottiene fornendo un servizio gratuito. In cambio, chiede, acquisisce e colleziona dati. Messi poi a disposizione di sé stessa così come di altre aziende.

Perché la pubblicità è sempre presente e sempre più strategica. Sia per conoscere e comunicare con l’utente, attratto da inserzioni di suo gradimento attraverso i cookies. Sia per Google che, da sempre, ne ha automatizzato il processo: chi vuole inserire spot pubblicitari deve seguire linee guida e dire quanto è disposto a pagare in base a prezzi stabiliti dall’azienda. Nessun centralino, nessuna contrattazione. Risultato: nell’ultimo trimestre del 2021 le entrate pubblicitarie di Google sono cresciute del 33 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020, raggiungendo un valore di 61,24 miliardi di dollari.

Poi c’è la semplicità. Nella strategia aziendale come nella schermata principale di Google, intuitiva e pulita. Scorciatoie e barra di ricerca. Niente più. Nel 2021 ci sono state in media 5,7 milioni di ricerche al minuto su Google. Alphabet, la holding fondata nel 2015 per aggregare voci e componenti di Google, negli ultimi quattro mesi del 2021 ha registrato guadagni ed entrate per 75,33 miliardi, con una crescita dei ricavi pari al 32 per cento e un aumento del valore delle azioni di oltre il 9 per cento.

Enorme bacino di utenti e ampia disponibilità di informazioni rendono Google una sorte di indicatore sociale. Ogni anno viene pubblicata una classifica con le parole dell’anno più cercate sul motore di ricerca. Dal covid alla guerra, dai politici ai personaggi dell’anno, dai perché è successo ai come si fa. Si capisce e si interpreta la società. Cosa avviene, cosa interessa.

Economia e geopolitica contano

Diventare istituzione genera responsabilità, diventare monopolista può provocare rischi. Compromesso: stabilizzare il potere. In tanti modi, con troppi rischi.

Lo scorso 5 ottobre Google ha affermato che istituirà un servizio cloud in Sud Africa come parte del suo piano di investimento da 1 miliardo di dollari nel continente. Il piano prevede di portare 2,1 miliardi di dollari di valore aggiunto all’economia sudafricana e oltre 40.000 posti di lavoro entro il 2030. Consentire agli utenti di archiviare i propri dati nel Paese e ampliare le proprie infrastrutture: iniziativa non nuova nel continente africano se si pensa al Jasper Solar Power Project, centrale fotovoltaica da 96 megawatt a ovest di Kimberley, e al parco eolico Lake Turkana in Kenya. Tutto finanziato da Google.

Sulla rivista «Limes» Paul Cochrane scrive che «secondo Telegeography i cavi veicolano oltre il 95 per cento delle trasmissioni mondiali di voce e dati. Si estendono per oltre 1,2 milioni di chilometri (in crescita), gran parte dei quali sottacqua. I mari si confermano dunque le principali autostrade della nostra modernità». Tra i leader nel settore, sempre e ancora Google. Nel 2008 l’azienda di Mountain View inaugurò la costruzione dei propri cavi sottomarini con Unity, tra Giappone e Stati Uniti, entrato in servizio nel 2010, cui seguirono Faster nel 2016 (Stati Uniti—Taiwan—Giappone) e PLCN nel 2019 (Hong Kong—Stati Uniti). A fine 2020 Google ha annunciato Blue-Raman: investimento da 400 milioni di dollari per un percorso sottomarino lungo più di 5.000 miglia in grado di congiungere Europa e Medio Oriente.

Ma valori e infrastrutture non bastano ad arginare incognite legali ed economiche. I colpi inferti in particolare dall’Unione europea a Google negli ultimi anni sono stati durissimi: proprio lo scorso settembre il Tribunale europeo ha confermato che Alphabet dovrà pagare la multa comminata nel 2018 dalla Commissione europea per un valore di 4,34 miliardi di euro perché «Google ha imposto restrizioni illegali ai produttori di dispositivi mobili Android e agli operatori di reti mobili così da consolidare la posizione dominante del suo motore di ricerca». Si tratta della multa più grande mai inflitta da un’autorità europea della concorrenza. Anche nel 2017 l’antitrust europea ha multato Google con una sanzione da 2,4 miliardi di euro per aver abusato della posizione dominante del motore di ricerca nello shopping online, sfavorendo quindi la concorrenza, e nel 2021 la corte di Giustizia Ue ha respinto il ricorso della società americana. Nel 2019 Google è stata multata da Bruxelles per abuso di posizione dominante con una multa da 1,49 miliardi di euro.

L’ammontare di denaro che Google dovrà pagare a Bruxelles rappresenta solo una minima parte della faccenda. La questione è piuttosto politica, giuridica. Gerarchica. Le scelte di Google possono influenzare le scelte economiche e politiche dei suoi utenti? Se il potere dell’algoritmo è così forte, non dovrebbe essere sottoposto al vincolo della trasparenza e al controllo pubblico così come avviene con il mondo dell’informazione o coi prodotti farmaceutici? In questo senso, le sanzioni bastano (a proposito, quanto dureranno i contenziosi e quando iniziano i risarcimenti?)? O servono nuove regole? E chi le stabilirebbe? Un singolo Paese, un continente, un’organizzazione internazionale? Dove finisce l’azienda e dove inizia l’istituzione?

Ecco allora il potere velato e la sfida globale che Google, così come tante altre aziende-istituzioni nel mondo, ha lanciato: incitare la politica ad essere al passo coi tempi. Sfida compresa? Forse. Sfida accettata? Per ora, pare di no.

L’Osservatore Romano – 27/10/2022