«Chi parla di deglobalizzazione come conseguenza economica della guerra sta insultando i numeri»: Carlo Alberto Carnevale Maffè, Associate professor practice di Strategy and Entrepreneurship presso la Bocconi school of management, ha pochi dubbi e, dati alla mano, lo spiega chiaramente parlando a «L’Osservatore Romano».
Nel 2021, secondo l’Unctad, gli scambi di merci nel mondo sono cresciuti del 23 per cento rispetto al 2020 e dell’11 per cento rispetto ai livelli pre-pandemia: «Con la strategia zero covid della Cina e le sanzioni occidentali alla Russia, il volume degli scambi di merci non è certo stabile — prosegue Maffè —, ma questo non significa che è in atto un blocco della globalizzazione. Il commercio internazionale non è fatto solo di merci. Anzi, è guidato soprattutto dai servizi. L’interdipendenza finanziaria ha raggiunto livelli mai visti. Sono in corso fenomeni di trasformazione della globalizzazione che danno vita a un nuovo ciclo basato anche su fattori intangibili». Ad esempio? «Pensiamo al commercio della scienza o della sicurezza. Bitcoin, tecnologie digitali, territori virtuali come gaming o metaverso. Ma anche l’agenda climatica. Gli accordi di Parigi del 2015 sono quanto di più globale possa esistere, così come l’Agenda 2030 e i fattori Esg. La globalizzazione della sostenibilità è solo agli inizi».
Eppure, tra pandemia e guerra, anche il fenomeno della regionalizzazione è in crescita. Si parla sempre più di reshoring: Paesi e imprese tornano a produrre in casa propria. «Ma questo non ha nulla a che vedere con la globalizzazione — osserva Maffè —, se un’impresa deve rispettare standard ambientali o produrre a basso impatto energetico, lo farà in Paesi che rispettano determinati standard. La regionalizzazione è poi legata alla crescita dell’e-commerce, altro fattore intangibile della globalizzazione. Il commercio su internet sta crescendo a dismisura. E richiede logistica di prossimità, cicli produttivi più vicini. Produco, metto sul mercato, vendo. I processi s’invertono per evitare di arrivare tardi: produzione locale, distribuzione globale».
Insomma, ne verrebbe fuori una globalizzazione non più basata solo sul commercio dei beni, ma su un insieme di valori universali. Fenomeno possibile ma non privo di rischi. Soprattutto nell’era degli estremismi. «Lo abbiamo visto con la transizione energetica – puntualizza Maffè —, che è un tema da sottrarre assolutamente al fanatismo ambientale. Il fanatismo genera ideologia. E l’ideologia, quando si parla di energia, non va bene. Perché l’energia è un bene pubblico di interesse nazionale. Come la sanità. L’energia non è un’opinione. Bisogna sì parlare di valori e di responsabilità ma restando sul campo della scienza, proponendo un obiettivo, orientando la politica e ampliando il dibattito sul mix energetico».
Pochi dubbi sul fatto che impoverimento del dibattito e scontri ideologici abbiano generato l’inefficienza con cui molti Paesi sono alle prese. Vedere alla voce inflazione. «Qui però va fatta una precisazione — irrompe Maffè —, l’inflazione non è solo dovuta al covid e alle guerre commerciali. È anche frutto di scelte consapevoli di politica monetaria. Se il sistema immette più liquidità nell’economia di quanto serve, si produce un potenziale di inflazione. E non è vista come una condanna, ma come una strategia monetaria per tenere a bada i risparmiatori. A ciò va poi aggiunto lo shock di offerta di fronte a cui soprattutto l’Europa si trova».
Ecco, l’Europa. Tra rincari e scelte difficili, il Vecchio Continente procede a rilento. «Ed è un paradosso se si pensa che l’energia è stato il primo fattore aggregativo dell’Europa contemporanea — prosegue Maffè —, nel 1952 nasceva la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Nel secondo dopoguerra avevamo gli stessi problemi di oggi. Ma mentre al tempo si optò per un progetto comune, la Ceca, oggi l’energia sta compromettendo la solidità europea. Non si tratta di scoprire nuove strategie ma di ritirarne fuori alcune: l’energia è un patto di fiducia tra istituzioni e mercato, un fattore strutturale della società, richiede un progetto di unità come con la moneta». Dunque, con l’ottimismo che lo contraddistingue anche nel podcast “Don Chisciotte” realizzato insieme a Oscar Giannino e Renato Cifarelli, il professor Carnevale Maffè ricorda che «l’Europa è cresciuta attraverso le crisi. E continuerà a farlo. Una terza via tra Stati Uniti, Cina e Russia è necessaria. L’Europa è la democrazia delle democrazie. Questo continente è sì “vecchio” per definizione, ma è anche uno dei posti più profondi e complessi al mondo: perché è difficile fare innovazione qui, ma se ci riesci puoi farlo ovunque».
L’Osservatore Romano – 14/10/2022