«Se vi è da ascoltare sii il primo, se vi è da parlare sii l’ultimo». Sembra essere questo il motto che la diplomazia turca sta seguendo per mediare nella guerra tra Russia e Ucraina. Perché la principale conseguenza geopolitica della guerra per la Turchia è la ricerca di un ruolo da protagonista nel panorama internazionale. Le radici sono solide, la strategia è profonda e gioca su quattro fronti: aiutare l’Ucraina a evitare la sconfitta, non entrare in conflitto aperto con la Russia, aumentare il peso diplomatico in Medio Oriente e dimostrare vicinanza con l’Occidente.
L’allargamento della Russia sugli sbocchi ucraini del Mar Nero avrebbe effetti negativi sia sul dominio commerciale marittimo sia sulla sicurezza di Ankara. Ma una sconfitta russa e un’instabilità politica al Cremlino avrebbe un impatto negativo sugli scenari internazionali in cui Russia e Turchia convergono, come sui rapporti economici bilaterali (tra maggio e giugno le esportazioni dalla Turchia alla Russia sono cresciute del 46 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021). C’è molto di nuovo sul fronte occidentale: Erdoğan ha aperto all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO e si è confermato un partner strategico per far arrivare il gas dall’Azerbaijan al Vecchio Continente, anche se Ankara non ha mai aderito alle sanzioni occidentali contro la Russia. Restano alcune domande. Ankara riuscirà a conquistarsi un ruolo di primo piano in Medio Oriente? Come sarà percepita dalle altre potenze della Mezzaluna? E dall’Occidente? Soprattutto, per quanto tempo potrà continuare a giocare su entrambi i lati del conflitto russo-ucraino? Che impatto avrà la strategia di Erdoğan sulle elezioni presidenziali del 2023?
Spostandosi a sud, c’è odore di oro nero. Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti: leader nella produzione globale di petrolio. Ancor più con la guerra in Ucraina, che ha fatto schizzare il prezzo del greggio al massimo dal 2008. Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato una crescita in rialzo di 1.300 miliardi di dollari per gli Stati del Golfo a causa delle entrate petrolifere. Si tratta dei primi avanzi di bilancio dal 2014 dopo la doppia crisi alimentata da bassi prezzi del petrolio e pandemia.
Ma se consumo e richiesta sembrano assicurati, il prezzo è compromesso dagli eventi globali: i produttori di petrolio devono quindi dimostrare di avere il controllo sui prezzi così da stabilizzare il mercato, come avvenuto con la recente scelta dell’Opec+ di diminuire la produzione di petrolio di cento mila barili al giorno. Come reagiranno i consumatori di petrolio che importano grandi quantità proprio dai Paesi del Golfo, come Stati Uniti ed Europa?
L’Osservatore Romano – 20/9/2022