Secondo uno studio dell’università di Harvard, la lavorazione di una tonnellata di terre rare può produrre fino a duemila tonnellate di rifiuti tossici. Eppure, cerio, praseodimio, olmio e neodimio, insieme a tutti quei diciassette elementi chimici della tavola periodica noti come terre rare, sono indispensabili per realizzare i motori elettrici usati nelle automobili elettriche, la fibra ottica o i rivestimenti delle turbine eoliche.
Difficili non da trovare ma da estrarre, contenenti proprietà nucleari, metallurgiche o chimiche, i rare-earth elements ricoprono un ruolo fondamentale. Per l’automotive, con catalizzatori, batterie ricaricabili per macchine ibride, schermi al led, magneti, vetri, ma anche lavorazione del petrolio. Poi l’elettronica, con televisori, smartphone, fibra ottica, stampanti, laser, altoparlanti. Ma anche medicina o sistemi di difesa aerea militare. Una turbina eolica utilizza più di una tonnellata di magneti pesanti e leggeri, di cui 700 libbre sono fatte col neodimio.
Terre rare, terre strategiche, terre contese da un mondo sempre più paradossale. Sì, perché se si va al di là degli slogan verdi e degli “ismi” che tanto vanno di moda, dall’ambientalismo all’ecologismo, i paradossi diventano evidenti. Insomma, prodotti come pale eoliche e auto elettriche sono poi così puliti come si crede?
Nel frattempo, si può capire perché la lavorazione delle terre rare inquina. Ci sono più fasi per produrre le terre rare: l’esplorazione, per localizzare le risorse, poi l’estrazione mineraria e la lavorazione che, nel caso delle terre rare, è complessa e inquinante. Allo stato naturale i diciassette elementi chimici sono mescolati con altri minerali in diverse quantità. Per essere estratti devono essere separati e lavorati, con l’utilizzo di acidi, acqua e solventi organici, particolarmente dannosi perché emettono Co2, scorie radioattive e chimiche nell’aria.
Ma quello dell’inquinamento non è l’unico problema. Per produrre e lavorare le terre rare è richiesta alta quantità di energia e acqua. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica «Hindawi» dimostra che la sola produzione di 1 chilogrammo di terre rare consuma 1.288 kWh e 3,24 chilolitri d’acqua.
Energia e acqua, enormi problemi dei nostri tempi. I prezzi dell’energia sono in costante aumento dal 2020 e ancor più con l’invasione russa dell’Ucraina. Poi, la produzione di terre rare è condensata in Paesi alle prese con il fenomeno siccità: la Cina, dove è concentrato il 95 per cento delle terre rare e dove è in corso la più grave siccità dal 1961 con una produzione idroelettrica giornaliera diminuita del 51 per cento. C’è anche il Brasile, dove si concentrano oltre 20 milioni di tonnellate di terre rare, alle prese con una grave siccità alimentata anche dalla deforestazione.
Il prezzo delle terre rare è dunque in aumento dal 2020, complice la pandemia, i blocchi dei porti, gli obiettivi green stabiliti a breve termine e la domanda di materiale tecnologico in netta crescita. L’ IRENA (Agenzia internazionale per le energie rinnovabili) ha stimato che il prezzo di neodimio e praseodimio è passato da 40,80 dollari al chilo, nel secondo trimestre del 2020, a 69,90 dollari al chilo nello stesso periodo del 2021. Secondo Standard & Poor’s, le vendite globali di veicoli elettrici dovrebbero raggiungere un totale di 9,1 milioni di unità nel 2022, rispetto ai 6,3 milioni nel 2021, per poi arrivare a 13,7 milioni nel 2025. La forte domanda aumenta i prezzi dei minerali, perché la richiesta supera la capacità d’offerta.
Geopolitica, monopoli, inflazione, ambiente. I puntini si uniscono, le (in)certezze si sgretolano, il mondo si divide. Cosa resta? Un po’ di domande.
L’inquinamento causato dalla produzione di terre rare è più grave rispetto all’inquinamento causato dai veicoli a combustibili fossili? La loro strategicità può essere compromessa dagli alti costi di produzione? Se fenomeni climatici come la siccità dovessero essere più frequenti, che impatto ci sarà sulla produzione di terre rare? Ci sono nuovi metodi di lavorazione in grado di arginare problemi ambientali ed economici?
Ancor più, in un mondo che sembra destinato alla divisione in blocchi, sarà facile commerciare e lavorare le terre rare, mettendo al centro della rivoluzione energetica elementi con così tante contraddizioni? L’alto costo delle terre rare e quindi dei prodotti ecologici e tecnologici influirà sui costi della produzione? Che impatto ci sarà sulle imprese e poi sui consumatori? Alla scienza, politica e chimica, l’ardua sentenza.
L’Osservatore Romano – 26/8/2022