Spiagge incontaminate, acque cristalline, poi la riserva naturale con la savana e i boschi di miombo. Nuotano delfini e tartarughe marine, corrono antilopi e impala, pascolano gnu e bufali. Quirimbas e Niassa. Arcipelago e riserva naturale. Poi, tutto s’interrompe. Un villaggio viene attaccato da uomini armati e dato alle fiamme. Tre persone vengono decapitate. Avviene tutto in pochi giorni, tra il 10 e il 14 luglio 2022.

Siamo in Mozambico. Anzi, nel nord del Mozambico. Terra di nessuno, terra di troppi. Logorata, assalita, ignorata. Da anni. Qui, a Cabo Delgado, provincia del nord-est del Paese da 2,32 milioni di abitanti al confine con la Tanzania, il 5 ottobre 2017 è scoppiato un conflitto che dura tuttora e che ha provocato migliaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati. Religione, politica, cultura, economia, etnie. L’insurrezione di Cabo Delgado coinvolge la società a trecentosessanta gradi. È causa e conseguenza, allo stesso tempo, di estremismo, povertà, rabbia, disagio sociale. Abbandono.

Cinque anni fa il movimento di matrice jihadista inizia a diffondere a Cabo Delgado le proprie idee radicali sull’Islam attraverso armi e violenza. Di fronte all’opposizione del governo centrale e degli abitanti locali, il movimento rafforza l’uso della violenza e amplia i propri confini. Disconosciuto l’esecutivo centrale della capitale Maputo, i militanti jihadisti, provenienti dal Mozambico come da diversi Paesi dell’Africa orientale, iniziano un addestramento militare in campi nascosti nei singoli distretti. Le difficili condizioni socioeconomiche del Paese spingono molti giovani ad aderire al movimento.

Poi, la data in cui tutto ha inizio. All’alba del 5 ottobre 2017 sono prese di mira tre stazioni di polizia nella città di Mocímboa da Praia. Trenta uomini armati uccidono diciassette persone, inclusi due agenti di polizia, rubando armi e munizioni. La polizia mozambicana avvia controlli. Due mesi dopo, il villaggio di Mitumbate, considerato la roccaforte del movimento estremista, viene assalito via aerea e via mare: si contano almeno 50 morti, tra cui donne e bambini, e un numero imprecisato di feriti.

Botta e risposta. L’insurrezione ha inizio e non si ferma più. Fughe obbligate, vite spezzate. Tra gli attacchi più cruenti, quello del 27 maggio 2018 al villaggio di Monjane in cui dieci persone, fra cui diversi bambini, sono decapitate. A settembre dodici civili vengono uccisi, quindici feriti e oltre cinquanta case sono bruciate dagli estremisti nel villaggio di Paqueue. Con il tragico ciclone Kenneth che il 25 aprile 2019 colpisce il Mozambico, provocando morti, feriti, sfollati e gravi danni economici, i ribelli si ritirano nei boschi.

In un momento in cui tutto sembra perduto e irrecuperabile, in Mozambico arriva Papa Francesco. Sbarcato all’aeroporto di Maputo, il viaggio apostolico inizia il 4 settembre 2019 e, dopo le tappe in Madagascar e alle Mauritius, finisce il 10 settembre. Il Papa incoraggia le autorità e la popolazione locale al coraggio della pace affinché non siano odio e violenza ad avere l’ultima parola.

Ma nel 2020 i ribelli sferrano nuovi, insanabili attacchi. A marzo colpiscono Mocímboa da Praia, distruggendo edifici governativi e issando una bandiera jihadista, per poi allargarsi al distretto di Quissanga e uccidere 52 abitanti del villaggio di Xitaxi, rifiutatisi di unirsi al movimento.

Il 24 aprile 2020 il governo mozambicano ammette per la prima volta che diversi estremisti islamici sono attivi nel Paese e coinvolti nell’insurrezione nelle zone settentrionali. Le forze armate nazionali si instaurano a Cabo Delgado in risposta ai ribelli. Tra ottobre e novembre 2020 l’Unione europea accetta di assistere il Mozambico nella lotta contro l’insurrezione a Cabo Delgado e le Nazioni Unite chiedono una risposta internazionale al conflitto. Sudafrica, Botswana, Tanzania, Lesotho, Malawi, Angola, Uganda, poi Stati Uniti, Portogallo, Gran Bretagna e Russia si uniscono al Mozambico.

Tra gennaio e aprile 2021 ad essere presa di mira è l’intera città di Palma, costa nord-orientale di Cabo Delgado, che con una serie di attentati rivendicati dai ribelli viene saccheggiata e invasa. Dopo dodici giorni di conflitto armato, le forze armate mozambicane riconquistano la città. Nella seconda metà del 2021 Mozambico e Ruanda, supportati da altri Stati africani, avviano operazioni di sfondamento nella provincia di Cabo Delgado. I ribelli rispondono. Bersagliando civili e militari. Senza sosta. Da quel momento in poi, le sorti del Mozambico non sono mai cambiate.

L’Osservatore Romano – 12/8/2022