Imparare a esprimersi efficacemente, poi comunicare, ascoltare, ragionare, dibattere. Alcuni la riducono a quella skill chiamata public speaking. Altri la chiamano ars oratoria. E la intendono non solo come una semplice padronanza delle strategie comunicative, ma come la massima espressione della profondità del pensiero umano. Perché, citando l’artista per eccellenza dell’oratoria, Cicerone, «nell’equilibrio e nella saggezza di chi possiede al massimo livello l’arte della parola risiedono non solo il suo stesso prestigio, ma anche la salvezza dei singoli cittadini e quella dello Stato».

Ma l’oratoria, come tante altre arti, va imparata e praticata. Anche a questo servono le scuole, tanto che nel sistema anglosassone il dibattito come metodologia didattica è materia curricolare. Se da un lato in Italia non si è arrivati a questo risultato, dall’altro esiste «We Debate», progetto nato nel 2012 in Lombardia da sei Istituti scolastici, diffusosi nel 2021 in 183 scuole del territorio nazionale, grazie anche al ruolo del Ministero dell’Istruzione.

Il debate è una discussione formale in cui due squadre (formate da tre o più studenti) sostengono e controbattono una certa posizione, ponendosi o a favore o contro di essa. Caratteristica fondamentale del dibattito è che, a scegliere quale posizione dovranno difendere i singoli componenti delle squadre, non sono i ragazzi ma chi organizza il dibattito. Da qui, la bravura e la difficoltà di sostenere fino alla vittoria delle posizioni che, a volte, possono non coincidere con le proprie. «Mi piace pensare al debate come a un antidoto contro la stupidità», dice al nostro giornale Simonetta Clementi, ex docente, «in grado di favorire una crescita a più livelli. Si migliora la capacità di affrontare e inquadrare un problema, ampliando la prospettiva e restringendo la superficialità. C’è poi la possibilità di acquisire e gestire una serie di dati finalizzati a estrapolare una teoria. Ma c’è anche la fase della socializzazione che, nel momento di preparazione e ricerca, è centrale all’interno della classe stessa. Non si tratta solo di alimentare le capacità comunicative dei ragazzi, ma di fargli aprire gli occhi su ciò che ascoltano. Quando parlo con una persona, devo domandarmi se ciò che sta dicendo è giusto e se i dati che mi sta fornendo sono sufficienti. Insomma, il debate aiuta a tenere la mente in stato d’allerta».

Presentazione, strategia, ritmo, confutazione, ricostruzione, arringa. Infine, il parere della giuria che assegna la vittoria a una delle squadre. Ci sono due tipi di debate: preparato, dove i partecipanti hanno vari giorni per impostare la discussione, possono usare tutte le fonti possibili, ma sanno solo pochi minuti prima dell’inizio del dibattito quale sarà la loro posizione, e impromptu, dove la discussione dev’essere preparata in un’ora di tempo, senza accesso alle fonti, ma sapendo fin da subito quale posizione assumeranno le squadre. «Sicuramente è stata un’occasione per migliorare la capacità di lavorare in gruppo – osserva Elisabetta, studentessa al liceo Orazio di Roma – a scuola ci sono poche occasioni per organizzare collettivamente un compito. Trattandosi di una competizione, la compattezza e il lavoro di squadra sono fondamentali. Ed è proprio questa competizione a rendere il tutto più divertente».

Giorgio, altro giovane studente, non ha dubbi sul fatto che il debate abbia sviluppato le sue capacità espositive, «anche grazie al discorso che mi sono dovuto preparare da solo basandomi su fonti che ho reperito io stesso». È diverso da scuola dove «la capacità espositiva, ad esempio per un’interrogazione, si basa su dati e nozioni prestabiliti dal libro». Tutto ciò alimenta una sana competizione che, secondo l’esperienza di Giorgio, supera anche il divertimento, soprattutto «quando la squadra avversaria ha un atteggiamento battagliero e cerca di fare parecchie domande».

«Non si tratta solo di esporre nozioni che ho studiato, come si fa all’interrogazione – prosegue Elisabetta – ma di argomentare, convincere e obiettare. Mi è capitato di difendere posizioni scomode perché non condivise dalla maggior parte delle persone, e poi convincermi davvero della loro validità. Spesso non ci si ferma a riflettere con la propria testa, si accettano le opinioni comuni senza documentarsi. Proprio per questo credo che, oltre alla maggiore sicurezza nel parlare, il debate mi abbia insegnato a sviluppare un forte senso critico». Ecco, comunicare e ragionare, l’arte e il gioco, la parola e il pensiero. E farlo insieme. Nella e per la società. Non è forse questo il modo migliore per trasmettere ciò che è bello e ciò che è utile, partendo proprio dalle scuole? Via al dibattito.

L’Osservatore Romano – 13/6/2022