«Certo che lo conosco Falcone», «E che ha fatto?», «Ha lottato contro la mafia», «Sì, ma in che modo?», «Non lo so, ma che mi stai a interrogà?». Lorenzo, 25 anni, periferia romana di San Basilio, riassume ciò che tanti giovani sanno di Giovanni Falcone: poco. Spesso i ragazzi conoscono meglio i dettagli della morte del magistrato, il 23 maggio, i novanta chili di tritolo e l’insegna Palermo-Capaci, piuttosto che il metodo Falcone, l’amicizia con Paolo Borsellino, il pool antimafia, l’Asinara, il 41 bis, il rapporto coi collaboratori di giustizia e il maxiprocesso. O, forse, tanti giovani conoscono Falcone solo come un simbolo e quindi considerano il lato più sintetico ma più importante della sua figura: aver dedicato la vita alla lotta alla mafia, essere morto in nome della giustizia. Ma tutto ciò basta per commemorare uno dei personaggi più influenti della storia della Repubblica italiana?

«Ho conosciuto la figura di Falcone per la prima volta alle elementari – dice Beatrice, 19 anni – ma il modo in cui lo ricordiamo a scuola mi sembra una convenzione sociale: sì, insomma, pare che gli insegnanti ne parlino più per loro che per noi, per essere riconosciuti validi e capaci di aver svolto determinate attività di sensibilizzazione con gli alunni». Assenza di empatia e partecipazione da parte degli adulti che si riversa nei giovani, ma non solo: «Il grosso errore in cui è facile cadere – continua Beatrice – è di riempire così tanto le menti dei ragazzi riproponendo sempre lo stesso tipo di attività a cadenza annuale. Ne usciamo saturi. E ci accorgiamo di sapere sì di cosa si parla, ma non nel dettaglio».

«Macché a scuola – risponde invece Virginia, 18 anni – di Falcone se ne parla a casa, sui social o in televisione. Così ho capito chi è. Ma non so dire cosa ha fatto nello specifico, né quali valori potrebbe ispirarmi: se non conosco bene una storia, finisco per pensare banalità». Dello stesso avviso è Asja, che ha imparato a conoscere la storia di Falcone «solo grazie ai social media, in grado di offrire soprattutto a noi giovani nozioni storiche in modo rapido e con strumenti di uso quotidiano». Ma non per questo si tratta di una conoscenza più debole: «Anche se non ho profonda dimestichezza con la politica – prosegue Asja – ho compreso il coraggio e il servizio di Falcone, i metodi d’indagine e l’importanza della sua immagine anche a livello mondiale».

Giulia, 21 anni, ha più dubbi che risposte: «Ma poi è davvero necessario conoscere la vita di certe persone per commemorarle? Non basta la loro immagine e i loro insegnamenti? L’uomo vive di simboli. Scuola e società servono a farglieli conoscere e rispettare, poi chi vuole approfondire è libero di farlo».

Dunque, due scelte diverse. Francesco, 23 anni, si vergogna un po’ a dirlo, ma «conosco veramente poco Falcone. Sarebbe da prendermi a schiaffi, lo so. Soprattutto perché è una colpa personale. Se ne parla tanto in giro, ma a me interessa poco». Ci sono tanti ragazzi a cui, invece, la storia contemporanea interessa. Ma molto alto, dentro di loro, è il senso di frustrazione. Come nel caso di Tommaso, 22 anni, secondo cui «Giovanni Falcone è un martire. Leggendo la sua vita e la storia italiana di quegli anni, si capisce come l’amore nutrito da Falcone verso il proprio Paese non fosse ricambiato. Era un personaggio scomodo per molti. Ecco perché, soprattutto in questo caso, credo che per conoscere i buoni sia necessario conoscere anche i cattivi. Se non per sentito dire o per interesse personale, noi giovani non sappiamo cosa e chi c’è veramente dietro la mafia. Perciò non sappiamo cosa vuol dire veramente combatterla. Imparare a conoscere le crudeltà di chi ha fatto del male è imprescindibile per imparare a conoscere il valore di chi ha fatto del bene. Dobbiamo ripartire dalla persona. Tutto ciò darà ancora più valore al ricordo di Falcone. Perché ricordare Falcone non può e non deve essere una moda».

E, quando si parla d’immagini, in altri giovani prevalgono frammenti cinematografici: «Se penso a Falcone mi viene in mente il film “Il traditore” di Marco Bellocchio – riflette Giorgio – dove tra il pentito Buscetta e Falcone s’instaura un rapporto di stima reciproca. È famosa l’intervista di Enzo Biagi a Buscetta in cui il pentito di mafia afferma che ascoltare le analisi di Falcone era come un orgasmo. Questo, all’interno della storia, mi ha stupito: due personaggi, due ruoli, mafioso e magistrato, così teoricamente distanti, così praticamente vicini. Tutto ciò, secondo me, è avvenuto solamente grazie alla grandissima empatia e umanità di Falcone, che dinanzi a un boss mafioso è andato ben oltre la distinzione manichea tra bene e male. Solo a personaggi come Falcone e Borsellino dedico il complimento migliore che, per me, una persona può ricevere: essere uomini tutti d’un pezzo. In inglese rende meglio: standing men. Simboli di una vita spesa per gli altri».

Di testimoni diretti di questa storia ce ne sono diversi. Ma una fra tutte sembra essere la voce preferita dai giovani: «Credo che, per conoscere veramente Falcone, tutti i ragazzi debbano ascoltare e interagire almeno una volta nella vita con la sorella, Maria – chiosa Sara – io ho casualmente iniziato e concluso il mio percorso accademico con lei, incontrandola prima alle elementari e poi all’università. Ed è diverso dall’ascoltarla su internet. Le parole di Maria Falcone servono a conoscere il fratello in quanto uomo, gli ideali, il valore dell’impegno, la costanza. E l’idea che lui e Borsellino avevano dell’amore: amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare».

Un impegno, quello di Maria Falcone, portato avanti fin da subito nei confronti di scuole e università perché, come diceva Borsellino, le giovani generazioni sono «le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità». E quindi no, non ci si può concedere «pausa alcuna, il rischio è quello di ritrovarsi subito al punto di partenza». Ma questo lavoro, secondo i giovani, non può limitarsi a date simboliche. Dev’essere fatto quotidianamente, con lo studio della storia più recente, le visite nei luoghi del dolore, il confronto intergenerazionale, le parole di chi porta avanti questa battaglia.

«Noi a scuola non arriviamo neanche agli anni ’60 del ‘900. Cosa possiamo saperne dell’Italia degli anni di Falcone?», si domanda Aurora, studentessa al liceo classico. L’assenza di contesto spaventa i ragazzi perché, al di fuori delle mura di casa o della scuola, non sanno portare avanti dialoghi e argomentazioni. Dunque, finiscono per evitare certi discorsi. Al contrario, l’obiettivo dovrebbe essere proprio quello di riuscire a far parlare i giovani di certe cose al di fuori dei soliti luoghi. La testimonianza deve alimentare ed alimentarsi di curiosità.

«So più cose sulla morte di Falcone che sulla sua vita – commenta infine Leonardo – però ricordo come sia lui sia Borsellino fossero consapevoli che sarebbero stati uccisi dalla mafia. Mi sono spesso domandato perché, nonostante ciò, avessero continuato a fare ciò che facevano. E a farlo apparentemente senza paura. Non ho una risposta precisa. Ma, al di là di ciò, credo che da questo punto di vista Falcone e Borsellino rappresentino ciò che una persona, soprattutto quando è giovane, dev’essere: un combattente testardo, amante della vita e della giustizia, disposto a sacrificare tutto, persino sé stesso, per un obiettivo ben preciso, anche se irrealizzabile».

L’Osservatore Romano – 23/5/2022