C’è un brano che racconta la storia di «gente sull’asfalto e sangue nella fogna», di «questo corpo enorme che noi chiamiamo Terra, ferito nei suoi organi dall’Asia all’Inghilterra», di «galassie di persone disperse nello spazio». Londra, Nizza, la Rambla, Il Cairo. Il terrorismo. Era il 2018. Ermal Meta e Fabrizio Moro vincevano il festival di Sanremo con il brano «Non mi avete fatto niente». Oggi, quattro anni dopo, c’è Kiev, l’Ucraina, la Russia, una guerra in Europa. E quel brano che torna drammaticamente attuale.
È un brano di speranza e rassegnazione, certezze e delusioni, immagini e ricordi. Perché la guerra è infame, contraddittoria. Un giorno si spera, si vede la luce, quando si parla di negoziati, e il giorno dopo si prega, si trattengono le lacrime, quando si ripresentano le immagini di atti sacrileghi. Noi, ragazzi nati a ridosso di un secolo tremendamente abituato a certe immagini, non avremmo mai voluto sperimentare tutto ciò ai confini di casa. Ancor più, dopo due anni di pandemia.
Non è facile: sentirsi accerchiati dall’attualità, non intravedere spiragli di certezze, temere di comunicare la propria idea, non sapere chi ascoltare, domandarsi cosa fare. Non è facile neanche doversi abituare a scorrere la homepage di Instagram passando dal viso di quella persona che tanto ci piace alle immagini di una guerra lontana pochi chilometri. Dalle stories degli amici alle «braccia senza mani» e alle «facce senza nomi», «volti illuminati come muri senza quadri» cantano Meta e Moro. “La prima guerra ai tempi dei social” dicono tanti. Ma chi la voleva? Chi voleva vedere i propri spazi di quotidianità riempiti da tanto orrore? Non bastava una console e un po’ di fantasia per vedere i conflitti?
Ecco, tutto ciò non è facile, è vero. Ma noi giovani siamo qui. Vogliamo esserci. Non dimenticatevi dei profughi, dei poveri, della pace. Ma non dimenticatevi neanche di noi. Non saremo esperti, ma abbiamo fiuto. Non saremo saggi, ma siamo forti. Non saremo abituati, ma siamo apprendisti. Non chiediamo nulla se non di avere opportunità per essere valorizzati. L’invito del brano «Non mi avete fatto niente» sta proprio qui: «scambiamoci la pelle» perché «la nostra vita non è punto di vista». Immedesimarsi, accogliere, aiutare. Che sia per volontariato, con una lezione di lingua o di sport, un gesto per un anziano o un bambino, un dibattito. Imparare ad amare mentre si soffre. A quel punto potremo sì dire che «non mi avete fatto niente». Anzi, non ci avete fatto niente.
L’Osservatore Romano – 25/4/2022