Stacco, accelerazione, sorpasso, arrivo. Tra la partenza e il traguardo ci sono 60 metri. L’atleta italiano Marcell Jacobs li ha percorsi in 6”41 secondi. Ha vinto così la medaglia d’oro ai Mondiali di atletica leggera indoor, a Belgrado, stabilendo il nuovo record europeo. Ma il ventisettenne nato a El Paso e cresciuto sul Garda aveva già abituato il pubblico a grandi risultati. Durante le Olimpiadi di Tokyo, in semifinale aveva corso i 100 metri in 9”84 secondi e in finale si era ulteriormente migliorato con 9”80 secondi. Era anche uno dei quattro atleti azzurri a vincere la staffetta 4×100.
Ci sono tanti numeri nella storia del giovane Jacobs. Un altro è 225: sono i giorni trascorsi tra le vittorie olimpiche e il successo di Belgrado. Cosa ha fatto in tutto questo tempo Jacobs? Non ha sempre gareggiato. Anzi. La prima gara del nuovo anno è stata disputata il 4 febbraio, a cinque mesi di distanza dalle Olimpiadi: «La decisione di non gareggiare più fino al prossimo anno non è stata semplicissima, anche perché io sono un agonista e vorrei farlo sempre, ma poi ti rendi conto che Tokyo è un punto di partenza», aveva detto ad agosto.
Fermarsi per un anno, dopo una medaglia d’oro e il nuovo record europeo, poteva sembrare paradossale. Ci sono rischi e difficoltà che gli inesperti del mestiere non possono neanche immaginare. L’assenza dalla scena e la mancanza di competitività. Ma ci si potrebbe sbagliare e, per questo, è meglio soffermarsi su una parola che potrebbe valere quanto il nuovo record europeo: “fermarsi”.
In primis, la grammatica. Il verbo “fermare” deriva dal latino firmare. Significa rendere stabile. Rafforzare. Solidificare. Ed è legato all’aggettivo latino firmus che, apparentemente, poco si addice alla figura di un velocista come Jacobs. Eppure, qualche collegamento potrebbe esserci. «Per ritornare al cuore delle cose – ha detto Papa Francesco – bisogna fermarsi, stare in silenzio, pregare». Insomma, eliminare la frenesia dell’agire e la necessità dell’apparire. Disattendere il principio secondo cui “sono vivo e dimostro di esserlo solo se faccio qualcosa e appaio in un certo modo”. Abbattere il presentismo. Evitare di andare così di fretta nella vita da non sapere su quale strada camminare.
È difficile fare tutto ciò oggi, specialmente quando si è giovani e si posticipano certi pensieri perché «tanto c’è tempo». Le distrazioni si sommano, le notifiche sul telefono si ammassano, le ore perse nel traffico sono troppe. Che dire poi della guerra nel cuore d’Europa? La cronaca di questi giorni alimenta uno stato di angoscia e indecisione che sta ancora scontando il periodo buio del covid. Ancora una volta, si è finiti in un nuovo mondo. Ancora una volta, si crede che «il futuro può aspettare. Chissà a che punto siamo della pandemia. Ora c’è la guerra». La scelta del corso universitario da seguire, l’ipotesi di un’esperienza all’estero, come coltivare i propri rapporti sociali, privilegiare le passioni o il dovere? Certe scelte si fanno perché si devono fare, non perché si vogliono fare. Forse proprio perché è difficile fermarsi. Estraniarsi. E, quando ci si riesce, c’è il rischio di ripiombare nella quotidianità semplicemente perché uno schermo si illumina.
Dall’altro lato del mondo, c’è invece chi, a causa della guerra, è stato costretto a fermarsi. È la situazione di tanti giovani ucraini e russi. La loro vita è stata interrotta. Come stanno procedendo i loro percorsi scolastici e universitari? Il loro lavoro? E le relazioni sociali? Riprenderanno a vivere come prima? Se sì, dove? Più i carrarmati vanno avanti, più le vite si fermano. No, a volte, anche quando si è fermi, non c’è tempo o modo di riflettere.
Qui sembra di essere in un labirinto senza uscita. Eppure, basterebbe pensare a un periodo vicino, complesso ma pieno di tempo per pensare: il lockdown. Mesi in cui il presente era così opprimente da chiuderci in casa ma, comunque, era capace di ridurre i momenti futili delle giornate. Niente ore perse nel traffico o contrattempi che stancano e svuotano la mente.
È chiaro che il lockdown è stato un periodo transitorio e ci si augura non possa più verificarsi. Ma se la pandemia ha davvero insegnato qualcosa, questo potrebbe essere rappresentato proprio dalla capacità di prendersi una pausa dalla quotidianità e riflettere sul proprio percorso. Come plasmarlo, quali scelte fare. Preparare l’animo a farsi accogliere, e non cogliere, dagli imprevisti. Andare oltre. Non adagiarsi, ma essere in costante movimento, anche da fermi. Perché se nei ricordi si trovano certezze immutabili, nelle aspirazioni si cerca il cambiamento. Si vuole conoscere. Si ha necessità di vivere nuovi attimi da tramutare, un domani, in ricordi.
Nella fretta della vita bisogna sempre avere il coraggio di fermarsi e, quindi, di scegliere. . Un po’ come ha fatto Marcell Jacobs.
L’Osservatore Romano – 28/3/2022