Agire, scommettere, aspettare. Per perdere o vincere. Senza pensare. Perché chi è affetto da ludopatia gioca d’istinto. In Italia questo fenomeno è in evidente crescita. Soprattutto dopo le misure introdotte per contenere il covid-19 e i successivi allentamenti delle restrizioni. Ad oggi, l’Istituto superiore di sanità italiano (Iss) stima che i cittadini malati effettivi di ludopatia sono poco più di 1,2 milioni. I giocatori abitudinari sono 5,2 milioni di persone.
La ludopatia cresce in particolar modo durante le crisi. È accaduto con la Grande Recessione: tra il 2008 e il 2011, la percentuale di persone che, in Italia, ha giocato d’azzardo è passata dal 42 al 47 per cento. Accade anche oggi, durante la pandemia. Se nel 2019 il gioco d’azzardo era praticato dal 16,3 per cento della popolazione italiana, il dato è sceso al 9,7 per cento durante i mesi del lockdown, per poi risalire al 18 per cento nel periodo delle restrizioni parziali. La riapertura, per molte persone, ha significato un drammatico ritorno al male, al vizio.
Così, in Italia, nel 2021, le scommesse hanno raggiunto quota 107,5 miliardi di euro, quasi pareggiando la quota del 2019 (quando la spesa complessiva ammontava a 110,5 miliardi di euro).
Disoccupazione e basso livello d’istruzione sembrano essere alla base di chi è affetto da ludopatia. Ma c’è anche altro. Questo fenomeno non può passare come una malattia personale. Piuttosto, è connesso ad almeno due aspetti collettivi.
Il primo è sociale e psicologico: nel periodo del lockdown più severo, l’impossibilità di giocare d’azzardo, per una persona con un disturbo particolare, ha inevitabilmente influito su stress e aggressività. Questi problemi si sono verificati non solo negli adulti, ma anche nei giovani. Curiosità, divertimento, bisogno di denaro e convinzione di vincere sono i motivi che spingono i ragazzi a giocare d’azzardo. Anche l’ambiente familiare e le relazioni possono influenzare i più piccoli.
Il secondo aspetto è economico. C’è chi ha perso il lavoro a causa della crisi o sta vivendo in uno stato di incertezza. C’è anche chi, fra i giovani, non studia né cerca lavoro: nel 2021 i Neet (not in education, employment or training) hanno raggiunto il livello record del 23,3 per cento. In questi casi, la speranza di ottenere denaro facilmente è vista come una salvezza che, però, resta solo apparente.
Tra il 2020 e il 2021, il 37,8 per cento degli italiani (cioè 19 milioni di persone) ha giocato a uno o più giochi legali. Ovviamente, non tutte queste persone sono affette da ludopatia. Tuttavia, un dato preoccupante è che il gioco d’azzardo non fa distinzioni territoriali o anagrafiche: giocano le persone con alto reddito (42,9 per cento) come quelli con basso (35,2 per cento), gli adulti (45,4 per cento) e i giovani (45,2 per cento), i residenti nel Sud e Isole (42,4 per cento), come quelli nel Nord Ovest (36,6 per cento), Nord Est (31,8 per cento) e Centro (37,4 per cento).
Eppure, in questa situazione pandemica, c’è un paradosso: nel 2020 il settore del gioco d’azzardo è andato in crisi. Il report pubblicato dal Censis e dalla Lottomatica ha confrontato i dati del gioco d’azzardo del 2020 con il 2019: si legge che, nel 2020, rispetto all’anno precedente la «raccolta complessiva segna -22,2 miliardi di euro, le vincite -15,7 miliardi di euro, l’erario -4,1 miliardi, i ricavi delle imprese del settore -2,3 miliardi di euro». Ma se il fenomeno dei giocatori d’azzardo è cresciuto, a cosa è dovuta questa crisi?
Il periodo del lockdown è stato cruciale. Da un lato, chi mette a disposizione certi servizi ha continuato a dover sostenere una serie di costi (macchinari, personale, affitto). Dall’altro lato, il mercato del gioco d’azzardo non è fallito. Si è trasformato. L’impossibilità di recarsi a giocare nei luoghi fisici ha costretto molte persone a cercare alternative che, in realtà, già esistevano e che hanno visto una crescita notevole dal covid in poi.
La prima alternativa al gioco tradizionale è rappresentata dall’online. Basta un clic e una connessione internet. Non bisogna uscire di casa, non ci sono distrazioni, non c’è nessuno che controlla. Ed è disponibile 24 ore su 24. Così, nel 2020, il gioco online ha fruttato 49,2 miliardi di euro in Italia: si tratta di un aumento del 35,3 per cento rispetto al 2019. Il dato è ancor più significativo se si pensa che, nello stesso anno, il ricavo dato dal gioco in presenza è calato del 47,2 per cento. Secondo una ricerca di Assoutenti, il 14,6 per cento dei giocatori dice di aver speso online oltre 500 euro e l’11 per cento tra i 200 e i 500 euro. Durante il lockdown, il tempo dedicato al gioco è aumentato in media di quasi un’ora.
A questo fenomeno se ne collega poi un altro, piuttosto nuovo: sul telefono ci sono sempre più giochi in cui è possibile avanzare di livello pagando una somma in denaro. L’istituto superiore di sanità ha chiesto al proprio campione di giocatori se avesse utilizzato questi giochi: il 33 per cento ha detto di sì.
Una seconda alternativa al gioco tradizionale è rappresentata dal gioco illegale che, nel 2020, è cresciuto del 50 per cento rispetto al 2019, arrivando a valere 18 miliardi di euro. Tra il 2020 e il 2021, ogni tre giorni è stata scoperta e chiusa una sala clandestina.
Per concludere, non si può dimenticare che il gioco d’azzardo, per molti, significa lavoro. In Italia 150.000 persone sono attive in questo settore. Ci sono 300 concessionari autorizzati dallo Stato, 3.200 imprese di gestione che si occupano del coordinamento del gioco pubblico sul territorio e 80.000 punti vendita tra bar, tabacchi ed esercizi pubblici.
Insomma, seppur indirettamente, le limitazioni imposte al gioco d’azzardo durante la pandemia hanno fatto emergere una cosa: chiudere le sale gioco o allontanare i giocatori, senza proporre un supporto morale o economico, è dannoso. Per tutti.
L’Osservatore Romano – 15/2/2022