Porgere l’orecchio, scaldare la voce, aprire il cuore. Dunque, ascoltare. Senza poter vedere. Ma entrare, comunque, nelle case. Senza alcuna pretesa. «L’ascolto corrisponde allo stile umile di Dio», ha detto Papa Francesco.
È questo il mondo della radio, dove la comunicazione avviene solo attraverso il microfono e l’interazione attraverso la parola. Non importa se registrato o in diretta. Non importa neanche sapere come è fatto il luogo fisico da cui si trasmette. La potenza di una voce che, da uno studio di registrazione, riesce ad arrivare in tutto il mondo, non passerà mai di moda. Nicoletta Carbone, conduttrice dei programmi “Obiettivo Salute” e “La bufala in tavola” su Radio 24, vive questo processo tutti i giorni.
Ascoltare nella vita e ascoltare per lavoro. Sono due cose diverse?
No, sono la stessa cosa. L’ascolto non fa distinzioni. Ma, purtroppo, oggi è difficile ascoltare, nella vita come nel lavoro. Ogni giorno, tutti noi siamo a contatto con un mare di parole e di suoni. Eppure, abbiamo perso il piacere di andare in profondità, di immergerci, di conoscere veramente le cose. Perché crediamo che sapere tutto sia importante. Così, non riusciamo a distinguere. Ci limitiamo a sentire, anziché ascoltare. Alla base di questa mancanza non c’è solo la mole di informazioni che riceviamo ogni giorno. Insomma, bisogna ammettere che ascoltare è proprio difficile. Anzi, come direbbe Goethe, “ascoltare è un’arte”. Richiede attenzione, rispetto, pazienza, voglia di mettersi in discussione e di accettare posizioni diverse dalle nostre. Tuttavia, in tempi così difficili, una cosa mi sembra chiara: c’è grande richiesta di ascolto. Anche tra colleghi perché, inevitabilmente, la vita personale si mescola a quella lavorativa. Ma dobbiamo ancora lavorare sugli elementi che permettono di creare dialogo e ascolto.
Radio e salute: l’ascolto dell’altro può essere visto come una medicina?
Certo. Per ascoltare dobbiamo fare silenzio dentro noi stessi. Già questa è una medicina per la persona. Poi, pensando al mio lavoro, quando al microfono parlo di un certo problema legato alla salute, so che il mio messaggio può essere ascoltato da persone che stanno vivendo quel problema. In questo senso, è importante avere consapevolezza di ciò che si comunica. Le parole possono infondere fiducia. Possono curare. Ecco perché mi piace pensare alla speranza come un farmaco. E le parole sono il mezzo più importante per somministrare questo farmaco, per infondere speranza. Ma bisogna fare attenzione, perché le parole possono anche allontanare.
Quanto è stato importante entrare nelle case delle persone durante i mesi della quarantena?
Tantissimo. Sembrerà strano ma, durante il periodo iniziale della pandemia, con gli ascoltatori abbiamo deciso di lavorare sul concetto di gratitudine. Nonostante le difficoltà, abbiamo invitato le persone a riflettere su qualcosa di cui essere grati nella vita di ognuno di noi. È una forma di intelligenza emotiva: nasce dalle parole e dall’ascolto, per poi alimentare storie, allargare orizzonti e creare fratellanza. In questo modo, la radio è stata un pezzetto di normalità che ha sopravvissuto alla pandemia. Tutti ci siamo sentiti meno soli e, anzi, abbiamo allargato la nostra comunità, facendola diventare famiglia.
Ma chi fa e chi ascolta la radio, sa ascoltare anche il prossimo?
Sinceramente, non lo so. Io, che ascolto tante storie per lavoro, penso di poter e dover essere pronta ad ascoltare di più il prossimo. Da questo punto di vista, credo di essere fortunata perché sono in costante allenamento. Per chi non fa questo lavoro, però, ci sono tanti rimedi. I più piccoli, ad esempio, possono allenarsi ascoltando le voci dei loro nonni. Frammenti, racconti, ricordi. È un’azione che fa bene in tanti modi. Non solo a noi stessi, ma soprattutto agli altri. Agli anziani che, molto spesso, hanno bisogno di ascoltare e di essere ascoltati.
L’Osservatore Romano – 28/1/2022