Make, lead, protect. Fare, guidare, proteggere. Che tre indizi facciano una prova è ancor più vero quando si tratta di tre parole e quando a pronunciarle per svariate volte è il presidente statunitense in occasione del consueto discorso sullo stato dell’unione. Ieri, di fronte al Congresso, Donald Trump ha parlato per cento minuti — oltre ogni record — ribadendo innanzitutto la necessità di make America great again, ossia di “fare l’America di nuovo grande”. Il solito slogan, arricchito però di una componente tanto economica quanto politica: i dazi. Che, secondo Trump, servono a ridurre il surplus commerciale degli altri Paesi con gli Usa, a ripristinare posti di lavoro e a ridare ricchezza ai cittadini americani.

Ambizioni per certi versi legittime, viste le differenze sulla bilancia commerciale tra Usa e resto del mondo o le restrizioni che tanti Paesi — tra cui India, Cina o Unione europea — già applicano ai prodotti statunitensi. Tuttavia, il timore, come evidenziato dal crollo delle borse di ieri, è duplice. I dazi non sono mirati a prodotti specifici, colpiscono indiscriminatamente beni che gli americani consumano — non solo tecnologici, ma pure alimentari — e che non saprebbero altrimenti come procurarsi, perciò potrebbero far lievitare il costo della vita negli Usa. Di riflesso, il secondo timore: una ripresa generalizzata dell’inflazione abbinata a un rallentamento dell’economia.

Incognite che lo stesso Trump ha riconosciuto che «ci saranno dei piccoli disordini», ma ha promesso di gestirli perché «questa sarà la nostra era più grande» e «guideremo questa nazione ancora più in alto». Ciò che ieri Trump ha chiesto agli americani è proprio questo: fidarsi e affidarsi. Ecco perché ha ribadito l’esigenza di invertire la rotta rispetto alla precedente amministrazione Biden — alimentando una divisione mai vista nel Congresso — e ha lanciato una serie di slogan: «I giorni del governo dei burocrati non eletti sono finiti», «abbiamo posto fine alla tirannia delle cosiddette politiche di diversità, equità e inclusione», «ho lanciato la più radicale repressione dei confini e dell’immigrazione nella storia americana» e «ho riportato la libertà di parola in America».

Questo è il senso di protezione che gli elettori di Trump, non più solo bianchi operai, ma giovani, donne, afroamericani o ispanici, richiedono. Un verbo, «to protect», ripetuto da Trump 14 volte a un solo scopo: ridimensionare il ruolo degli Usa nel mondo perché, per concentrarsi nelle aree ritenute prioritarie, il Paese dev’essere saldo e coeso al suo interno. Poco spazio è stato dunque dato alla politica estera nel discorso di Trump, se non nella logica di sbrigarsi a risolvere i conflitti in corso — Ucraina e Gaza su tutti — traendone maggiori benefici possibili e ad allungare gli occhi su aree limitrofe quanto strategiche come Groenlandia e Panamá — dove il colosso Blackrock, ieri, ha comprato dai cinesi porti per 22,8 miliardi di dollari. Così il discorso alla nazione si è trasformato in un messaggio al mondo.

L’Osservatore Romano – 5/3/2025