La sospensione degli aiuti militari all’Ucraina, decisa ieri dal presidente Usa Donald Trump, è un messaggio rivolto innanzitutto a ucraini ed europei.
Agli ucraini Trump vuole far capire di essere disposto a tutto per arrivare a un accordo di pace. Anche a sospendere quegli aiuti che, finora, hanno permesso a Kyiv di andare avanti e senza i quali, secondo le prime stime, gli ucraini potrebbero resistere per altri sei mesi. Non si tratta solo degli oltre 120 miliardi di dollari, di cui 67,3 erano in aiuti militari, ma anche dei sistemi di intelligence e di comunicazione satellitare tra cui, in primis, Starlink, descritto spesso dagli ufficiali ucraini come “linfa vitale” del proprio esercito. Già la scorsa settimana Elon Musk, fondatore di Starlink e ora stretto collaboratore di Trump, aveva minacciato di revocare l’accesso ai suoi satelliti per la comunicazione militare degli ucraini se questi non avessero firmato l’accordo sulle materie prime. Così facendo, l’amministrazione di Washington vuole dare un’ulteriore testimonianza della potenza americana al presidente ucraino Volodymyr Zelensky che, come ribadito dal vicepresidente Usa J.D. Vance, non può «venire nello Studio Ovale o in qualsiasi altro posto e rifiutarsi di discutere anche solo i dettagli di un accordo di pace». «Buttare soldi e munizioni in un conflitto terribile, questa non è una strategia», ha sottolineato Vance aggiungendo che «la porta è aperta finché Zelensky è disposto a parlare seriamente di pace».
Di riflesso, Washington ha lanciato un messaggio pure agli europei, cui Trump — in nome del principio “America first” — vuole far capire che dovranno essere loro a occuparsi della sicurezza dell’Ucraina e, quindi, della difesa del Vecchio Continente. Proprio questa mattina gli europei hanno battuto un colpo: la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato di voler destinare 800 miliardi di euro a favore della difesa, prevedendo aiuti all’Ucraina, perché «la difesa del nostro continente è a rischio» e «siamo nell’era del riarmo». Eppure, anche questa decisione rischia di essere divisiva perché sembra essere l’ennesima calata dall’alto senza alcuna capacità strategica né visione diplomatica.
Esiste una strategia comune ai 27 Paesi per orientare gli investimenti in materia di difesa? Se sì, chi definisce le priorità e in base a quali interessi? Come verranno redistribuite e impiegate le risorse, in assenza di una politica estera e di un esercito comune? È possibile far convergere le esigenze tattiche degli italiani con quelle di francesi, tedeschi, polacchi e ungheresi? Ammesso che gli ucraini hanno detto di voler rimpiazzare le armi americane con quelle europee, l’Ue ha la tecnologia adatta per garantire gli stessi servizi e la stessa quantità di munizioni? Gli americani la prenderanno come una presa di responsabilità o come un motivo per avviare il tanto annunciato disimpegno militare?
Più di ogni altra cosa, agli europei sembra dunque mancare una vera visione d’insieme e una strategia comunitaria condivisa. Lo si vede soprattutto nell’incapacità diplomatica, da ormai tre anni a questa parte, di proporre una soluzione al conflitto nel cuore dell’Europa. Ciò non avviene perché gli europei non vedono il mondo nello stesso modo, come emerso pure al vertice di Londra della scorsa domenica dove, all’appello della “coalizione di volenterosi”, mancavano ben 18 Paesi dell’Unione europea (Ue), i padroni di casa erano gli inglesi — unico Paese ad essere uscito dall’Ue — e gli ospiti di rilievo erano ucraini, canadesi, turchi e norvegesi. In un comunicato sulla guerra in Ucraina, la Commissione delle conferenze episcopali della Comunità Europea (Comece) ha voluto evidenziare proprio questa necessità: «Qualsiasi sforzo di dialogo credibile e sincero deve essere sostenuto da una forte e continua solidarietà transatlantica» perché «una pace integrale, giusta e duratura in Ucraina può essere raggiunta solo attraverso i negoziati».
Il modo americano di vedere il mondo sotto Trump sta così svelando le innumerevoli faglie interne all’Europa. Ma questo non è un bene per Washington. Che, nel Vecchio Continente, ha sempre visto uno storico alleato, un partner commerciale e un attore cui poter affidare aree fondamentali quanto instabili come il Mediterraneo. Tra impegno militare e dazi commerciali, l’incrinatura atlantica sembra vicina. E ciò non è ben visto neanche da diversi repubblicani che, come riportato dal «Wall Street Journal», temono di mettere a repentaglio la credibilità dei Paesi occidentali, proprio mentre nuove, grandi potenze mettono gli occhi sul mondo.
L’Osservatore Romano – 4/3/2025