Il ministro del Commercio indiano ha annullato tutti gli incontri per recarsi oggi negli Stati Uniti. Obiettivo: lavorare con la nuova amministrazione americana sui dazi e promuovere un accordo economico bilaterale che, entro il 2030, dovrebbe fruttare 500 miliardi di dollari. Un’iniziativa improvvisa che, nonostante il primo ministro indiano Narendra Modi avesse incontrato il presidente Usa Donald Trump solo il mese scorso, fa capire quanto gli indiani abbiano bisogno degli americani.
Innanzitutto, per crescere. Anche se oggi l’India si racconta e viene percepita come grande potenza, è alle prese con notevoli problemi interni. Se la spinta della privatizzazione e dell’apertura al commercio internazionale l’hanno resa la quarta economia mondiale, il terzo Paese al mondo per numero di start-up da almeno un miliardo di dollari, il secondo per laureati e fra i principali esportatori di servizi tecnologici, per Pil pro capite l’India si ritrova oltre la centesima posizione. Ciò è dovuto soprattutto alle disparità regionali. L’India costituisce il 2,2 per cento delle terre emerse, ma ospita quasi il 18 per cento della popolazione mondiale con oltre un miliardo e 400 milioni di abitanti. Questo sovraffollamento si riflette sulla condizione sociale: su 28 Stati, quelli a sud come Sikkim, Delhi e Goa sono più sviluppati, mentre Bihar, Jharkhand e Uttar Pradesh (centro-nord) affrontano condizioni critiche. Inoltre, la Costituzione riconosce 22 lingue, designa hindi e inglese come quelle ufficiali, ma l’hindi è parlato solo dal 46,3 per cento della popolazione e l’inglese è conosciuto dal 10 per cento. In realtà, in India sono diffusi centinaia di idiomi, come dimostra la presenza di almeno 2.000 gruppi etnici e la forte stratificazione catastale. Sulle aree rurali impatta poi il cambiamento climatico, che si riflette su un sistema agricolo che produce il 18 per cento del Pil e impiega oltre il 40 per cento della forza lavoro.
Dunque, malgrado i recenti progressi, l’India sta ancora inseguendo un benessere diffuso. A cui gli Stati Uniti contribuiscono non poco. Washington è il primo partner commerciale di New Dehli con esportazioni di petrolio, pietre e metalli, reattori nucleari, macchinari elettrici e apparecchiatura medica. Pur posizionandosi solo in decima posizione nella classifica dei maggiori partner commerciali americani, gli Usa sono un mercato florido per l’India — come dimostrato dal deficit commerciale che, oggi, ammonta a oltre 45 miliardi di dollari —, in cui esportare merci dal valore di quasi 130 miliardi di dollari. I piani per il lancio di Starlink in India o l’ingresso di Tesla per la nascita di una fabbrica di automobili dimostra come Dehli veda negli Usa una fonte unica di tecnologie e capitali. Sul piano geopolitico, Modi ha poi bisogno degli Stati Uniti in funzione anticinese, ossia per controllare le rotte dell’Oceano Indiano, mantenere una finestra aperta sul Pacifico ed evitare che la questione — tutt’altro che irrisolta — dell’Himalaya, cioè del confine tra indiani e cinesi, si allarghi.
Proprio per questi motivi, New Dehli vuole assicurarsi che l’impegno americano non diminuisca. E, attraverso le visite di esponenti di spicco dell’amministrazione Modi, vuole ricordare agli Usa che è disposta a tutto. In primis, a gestire l’immigrazione irregolare — lo scorso 5 febbraio oltre cento persone sono state rispedite in India su un volo militare — e a ridurre il deficit commerciale — attraverso l’acquisto di armi, gas e petrolio.
Una questione prioritaria soprattutto oggi, mentre i più stretti alleati di Dehli — russi e americani — sono tornati a parlarsi. Perché, pur condannando l’aggressione russa dell’Ucraina, Dehli non ha mai rinunciato ai rapporti con la Russia, specie per le forniture di energia, petrolio, nucleare e armi. Ora nel dialogo tra Mosca e Washington l’India vede una possibilità per continuare la sua politica di multi-allineamento, ben descritta dal ministro degli Esteri Subrahmanyam Jaishankar nel 2020: «Ingaggiare l’America, gestire la Cina, coltivare l’Europa, rassicurare la Russia».
L’Osservatore Romano – 3/3/2025