Sono almeno tre le considerazioni che si possono trarre dall’incontro tra i rappresentanti di Stati Uniti e Russia tenutosi ieri in Arabia Saudita, il primo dal 2022. La prima è che sia Washington sia Mosca privilegiano ora i rapporti bilaterali. Ieri a Riyad erano presenti da un lato il segretario di Stato Marco Rubio, il consigliere per la Sicurezza nazionale americano Mike Waltz e l’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff, dall’altro il consigliere per la Politica estera Yuri Ushakov e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, ma della delegazione russa faceva parte anche Kirill Dmitriev, capo del Fondo russo per gli investimenti diretti russi.

Di più, il bilateralismo sta accentuando la personalizzazione della politica. Con la seconda presidenza di Donald Trump, la postura americana sembra nettamente cambiata rispetto a quella del predecessore Joe Biden, e Mosca sembra reagire bene. Tanto che, sia Trump sia l’entourage del presidente russo Vladimir Putin, hanno fatto sapere che un incontro tra i due potrebbe avvenire «entro la fine del mese».

Simili fattori diventano, insieme, un chiaro messaggio rivolto sia alla Repubblica Popolare Cinese — che, negli ultimi giorni, ha ribadito l’importanza del multilateralismo per percorrere le vie della pace — sia ai Paesi europei e, in particolar modo, alle organizzazioni internazionali o regionali cui essi appartengono, in primis Nato e Unione europea, reputate da Oltreoceano troppo divise al loro interno e di conseguenza marginali. Si pensi al discorso del vicepresidente americano J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco secondo cui, per l’Europa, «il pericolo non viene da fuori, bensì da dentro». Oppure, alla differenza di vedute tra Washington e Bruxelles sul piano diplomatico, emersa con la mancata partecipazione dei Paesi europei al tavolo di Riyad, nonostante la timida apertura di Rubio secondo cui «a un certo punto» l’Europa dovrà sedersi al tavolo dei negoziati, e con la convocazione di un summit parigino tra otto Stati europei, conclusosi non solo con un nulla di fatto ma con una certa freddezza fra i Paesi europei, divisi su temi fondamentali come l’aiuto militare all’Ucraina, ma uniti, questa volta all’interno dell’Ue, su un nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca, annunciato proprio ieri, mentre russi e americani sedevano allo stesso tavolo. Un secondo vertice, sempre voluto dal presidente francese Emmanuel Macron, è previsto per oggi ma ancora una volta non coinvolgerà tutti e 27 i Paesi Ue, mentre è prevista la presenza di Norvegia, Canada, Repubblica Ceca, Grecia, Finlandia, Romania, Svezia, Belgio e i tre Paesi Baltici.

Se le attenzioni sono per ora concentrate sui rapporti diplomatici, istituzionali ed economici fra grandi potenze, la svolta per il conflitto in Ucraina non è ancora vicina. Questa seconda considerazione trova conferma innanzitutto nel fatto che la guerra sul terreno va avanti. Kyiv ha riferito che 160.000 persone sono senza elettricità e luce in seguito a un nuovo attacco avvenuto nella notte alle infrastrutture energetiche di Odessa, strategica città portuale affacciata sul Mar Nero.

Che i tempi per una pace non siano ancora maturi lo hanno poi confermato le prime indiscrezioni giunte da Riyad su un ipotetico negoziato, che dovrebbe svolgersi in tre fasi: prima il cessate-il-fuoco, poi le elezioni nazionali in Ucraina, infine l’accordo per la pace. Anche se non vi sono state conferme ufficiali, le dichiarazioni di Trump a margine dell’incontro di ieri sembrano confermare un certo calo di fiducia nei confronti del presidente ucraino Volodymyr Zelensky: il presidente americano si è detto «deluso» dai commenti di Kyiv sull’assenza dell’Ucraina al vertice russo-americano.

Zelensky ha reagito sottolineando che i colloqui in Arabia Saudita «si stanno svolgendo tra rappresentanti della Russia e rappresentanti degli Stati Uniti d’America. Sull’Ucraina e senza l’Ucraina», ribadendo poi la necessità di coinvolgere anche altri attori — fra cui la Turchia — e rimandando di un mese la sua visita, prevista per oggi, in Arabia Saudita. In risposta, il portavoce del presidente russo Dmitry Peskov ha detto che Zelensky «dovrebbe formulare» la sua posizione sulla risoluzione del conflitto poiché «finora ha avuto una posizione contraddittoria».

Gli Usa, nel frattempo, hanno anticipato la visita dell’inviato speciale per l’Ucraina e la Russia, Keith Kellogg, che si sta svolgendo in queste ore a Kyiv. In mattinata il rappresentante americano ha assicurato di comprendere la necessità dell’Ucraina di ottenere «garanzie di sicurezza» per consentire una pace duratura» e per «salvaguardare la sovranità di questa nazione».

Infine, un’ultima considerazione non può che riferirsi al luogo in cui si sono svolti i colloqui tra americani e russi. La scelta della capitale dell’Arabia Saudita rappresenta sia la rilevanza di questo Paese nel nuovo paradigma internazionale, sia la centralità del Medio Oriente, regione su cui l’attenzione delle grandi potenze — in primis Stati Uniti e Russia — non è mai calata. 

L’Osservatore Romano – 19/2/2025