Dopo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, è stato il turno di Shigeru Ishiba. Che il secondo leader straniero ad essere ricevuto dal nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump sia stato il primo ministro giapponese la dice lunga sui rapporti tra Washington e Tokyo. In effetti, anche se la visita è stata meno calorosa rispetto a quelle in cui il Giappone era rappresentato da Abe Shinzo, i temi sul tavolo sono stati diversi e tutti di notevole rilevanza.
Innanzitutto, si è parlato di economia e, con essa, del ruolo che il governo americano deve svolgere ai fini della crescita industriale del Paese. Tema caldo che, negli Stati Uniti, tiene banco ancor più dopo la crisi del colosso industriale US Steel, acciaieria fondata nel 1901, basata a Pittsburgh ma attiva soprattutto in Europa centrale, oggi in difficoltà a causa dell’emergere di attori capaci di produrre a basso costo come la Cina e di una transizione energetica che esclude le fonti più tradizionali. Nel dicembre 2023 US Steel annuncia quindi un progetto di acquisizione da parte della rivale giapponese Nippon Steel per 14,9 miliardi di dollari.
Tuttavia, dopo l’esame da parte dell’antitrust statunitense e delle autorità incaricate di monitorare gli investimenti stranieri, l’ex presidente Joe Biden blocca l’operazione in nome della sicurezza nazionale. Trump è della stessa idea ma, di fronte a Ishiba, se da un lato conferma la linea dura dall’altro apre uno spiraglio: il Giappone «farà qualcosa di molto importante per US Steel» perché «anziché acquistarla, vi investirà». Forte di questa concessione verso lo storico alleato asiatico, Trump scopre le carte e palesa i suoi obiettivi.
Il primo: rimpiazzare la Russia e scansare la Cina come fornitore di energia nell’Indo-Pacifico. Ad oggi, nonostante le sanzioni scattate dopo la guerra in Ucraina, il Giappone continua a importare oltre 6 milioni di tonnellate di gas da Mosca, principalmente attraverso l’impianto Sakhalin 2. «Sono lieto di annunciare che il Giappone importerà presto quantità record di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti», dice Trump a fianco di Ishiba, aggiungendo che «stiamo discutendo di un gasdotto dall’Alaska», il punto più vicino per fornire gas al Giappone. Di riflesso, il secondo obiettivo: aumentare le esportazioni significherà «ridurre il deficit commerciale col Giappone» in nome del «principio di eguaglianza tra Paesi». Se ciò non dovesse avvenire, Trump non esclude il ricorso ai dazi.
Il primo ministro giapponese incassa e, nonostante il neopresidente americano lo avesse snobbato per mesi preferendo persino incontrare la vedova di Abe Shinzo a Mar-a-Lago, assicura che non è venuto a “prostrarsi” a Trump. Così, riesce a ottenere un comunicato congiunto in cui Tokyo e Washington condannano le «attività provocatorie» della Cina nel Mar Cinese meridionale esprimendo «forte opposizione per le illegittime rivendicazioni marittime» di Pechino. Per quanto riguarda la minaccia nordcoreana, Trump assicura che «andrò d’accordo con Pyongyang come avvenuto durante la mia prima presidenza».
Se le priorità geopolitiche del Giappone sono così riuscite a trovare spazio, il messaggio lanciato da Trump è comunque chiaro: il Giappone resta alleato chiave per la politica estera americana — nel Paese sono dispiegati oltre 30.000 soldati americani —, ma il sostegno americano non può essere illimitato. E, oltre a ridurre il deficit commerciale, Washington chiede a Tokyo di fare la sua parte portando le spese per la difesa al 2% del Pil entro il 2027.
L’Osservatore Romano – 08/02/2025