Espansionismo, eccezionalismo, nazionalismo. La teoria del «destino manifesto», secondo cui gli Stati Uniti d’America hanno una missione civilizzatrice da realizzare, si annida in almeno tre istantanee del discorso inaugurale del quarantasettesimo presidente statunitense, Donald Trump, tenutosi ieri a Capitol Hill, Washington.
La prima: il riferimento al venticinquesimo presidente degli Usa William McKinley, che secondo Trump ha «reso il nostro Paese molto ricco attraverso tariffe e talento». Nato nel 1843 in Ohio, ultimo veterano della guerra di secessione ad entrare alla Casa Bianca, assassinato da un anarchico non appena rieletto, McKinley è ricordato soprattutto per aver condotto il Paese alla vittoria contro la Spagna nella guerra per Cuba, per l’annessione delle Hawaii e per l’acquisizione di Filippine, Guam e Porto Rico. Oggi Trump non smette di fare riferimento all’espansionismo geografico — basti pensare alle aspirazioni su Groenlandia o Panama — ma si affida anche a quello spaziale, consapevole delle capacità tecnologiche degli imprenditori miliardari che lo circondano: «Perseguiremo il nostro destino manifesto verso le stelle, lanciando astronauti americani per piantare la bandiera a stelle e strisce sul pianeta Marte» perché «l’ambizione è la linfa vitale di una grande nazione», ha detto ieri Trump.
Per realizzare simili obiettivi, gli Stati Uniti devono però tornare a dotarsi di un certo eccezionalismo. Secondo il neopresidente, ciò non è avvenuto perché «abbiamo un sistema educativo che insegna ai nostri figli a vergognarsi di sé stessi in molti casi» e «un sistema sanitario pubblico che non funziona in tempi di calamità». Il senso della seconda istantanea in cui campeggiano slogan come «da questo momento in poi il declino dell’America è finito» e «la nostra età dell’oro è appena iniziata» sta qui: dire agli americani che non saranno più trascurati né che devono vergognarsi a causa del loro status quo.
Se agli uomini bianchi lavoratori e non laureati oggi nell’elettorato di Trump si sono aggiunti ispanici, neri, giovani laureati e donne, è perché un certo sentimento di disagio si è diffuso a macchia d’olio nella società americana. Studi scientifici e fatti di cronaca testimoniano che buona parte del Paese è diventata più violenta e meno capace di dialogare.
Per soddisfare fin da subito questo tipo di elettorato, Trump si è affrettato a firmare una serie di ordini esecutivi che hanno destato non poca preoccupazione. Ad ogni dipartimento e agenzia del governo federale sono state date direttive per affrontare la crisi sociale derivata dal costo della vita. Trump ha chiesto di aprire ampie indagini sulla «censura della libertà di parola» o sulla «militarizzazione» delle forze dell’ordine e delle agenzie di intelligence. Scagliandosi contro l’ideologia woke, ha detto che «esistono solo due generi: maschile e femminile». Ha poi adottato misure esecutive sui nomi dei monumenti degli Stati Uniti per «onorare la grandezza americana». Ulteriore espressione dell’importanza del sogno americano è stato il giuramento del vicepresidente J.D. Vance che, cresciuto in Ohio tra la povertà di una decadente classe media, la violenza familiare e gli abusi, dopo essersi arruolato nei Marines riesce a studiare a Yale, a diventare senatore nel 2022 e ad essere scelto come vicepresidente nell’ultima campagna presidenziale.
Non solo di slogan e di storie si alimenta però il nazionalismo. L’ultima istantanea vede un Trump che da un lato si promuove come «pacificatore» ma che, dall’altro, dichiara lo «stato di emergenza nazionale» al confine col Messico: qui saranno aumentati i controlli per incrementare i rimpatri e per perseguire i cartelli messicani bollati come «organizzazioni terroristiche». Nonostante le preoccupazioni espresse dal cardinale Blaise Cupich, arcivescovo di Chicago, Trump ha firmato un ordine che mira a ridefinire la cittadinanza per nascita, ossia il processo attraverso il quale a tutte le persone nate negli Usa viene concessa la cittadinanza americana. Perché «ho la responsabilità di difendere il nostro Paese da minacce e invasioni».
Altrettanto rilevanti sono gli ordini con cui Trump ha avviato l’uscita dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e il ritiro «unilaterale» dall’accordo di Parigi sul clima. Su tutti, quest’ultimo getta un’ombra sul futuro economico e tecnologico del Paese. Trump ha lodato le trivellazioni petrolifere e non ha nascosto il suo astio per le fonti rinnovabili, come le auto elettriche. Ora bisognerà capire come tutto ciò si sposerà con gli investimenti economici e industriali fatti finora dall’intera società americana, nonché con gli interessi dei miliardari — Elon Musk su tutti — che lo affiancano.
L’Osservatore Romano – 21/01/2025