In Giappone solo un liceale su cinque ha dato il suo primo bacio. Il dato, il più basso mai registrato da quando l’Associazione giapponese per l’educazione sessuale conduce queste indagini (1974), non è slegato dalla crisi demografica di un Paese con l’età media più alta al mondo – 49 anni – e un calo delle nascite che prosegue da quindici anni consecutivi. Piuttosto, ne è causa fondante. Perché rivela come, alla base del declino della natalità, più del disagio economico ci sia in primis un fattore antropologico.
«Nel nostro Paese la “cultura della coppia” non è così forte come nelle regioni cristiane – osserva Junya Tsutsui, professore di Sociologia presso la Ritsumeikan University di Kyoto, parlando al nostro giornale – al contrario, in Giappone non ci si fanno molti problemi se si rimane single o se si passa il proprio tempo con amici dello stesso genere. E credo che proprio questa normalizzazione contribuisca all’idea di non sposarsi, quindi di non mettere su famiglia e di non avere dei figli. Non a caso, da quando hanno iniziato a calare i matrimoni combinati, negli anni Sessanta, c’è stata una diminuzione nel tasso dei matrimoni. Perciò, credo che la bassa natalità in Giappone sia legata all’incapacità culturale di mettere al centro di una relazione l’essere umano».
E la crisi demografica è solo la punta dell’iceberg. In Giappone circa una persona su cinque dice di aver subìto abusi fisici da parte del proprio partner nella fase della frequentazione e un coniuge su quattro afferma la stessa cosa. È la percentuale più alta mai registrata dal Cabinet Office. A ottobre il Japan Times ha documentato un incremento del turismo sessuale, mentre mesi fa uno scandalo legato alle «gogo girls», ballerine che fanno spettacoli in abiti succinti, aveva coinvolto persino alti esponenti del Partito Liberal Democratico (LPD).
Il professor Tstutsui ammette che, «sebbene quella giapponese sia una società confortevole in cui vivere perché il Paese è comodo e sicuro sotto molti aspetti, lo status economico e politico delle donne rimane basso. La proporzione di donne in posizioni manageriali non è aumentata come ci si aspettava. Loro potrebbero pensare di non guadagnare quanto speravano, il che le porta a pensare: “Se mi devo sposare, ho bisogno di un partner con un lavoro stabile”, ma proprio questo contribuisce alla difficoltà di avviare una famiglia».
Anche perché il panorama economico attuale in Giappone non è dei migliori. Se salari, domanda interna, spesa dei consumatori e quindi pil reale sono in ripresa, l’inflazione superiore al 3 per cento e la debolezza della moneta nazionale continuano a spaventare. A causa dell’aumento dei tassi dei mutui e dell’aumento dei prezzi delle abitazioni, il livello di indebitamento delle famiglie giapponesi ha superato – seppur di poco, per ora – il livello medio del reddito: nel 2023 l’indebitamento delle famiglie con due o più persone ha raggiunto i 6,55 milioni di yen, mentre il reddito annuo è di 6,42 milioni di yen.
Tematiche simili sono state al centro delle elezioni anticipate del 27 ottobre, volute da Shigeru Ishiba una volta divenuto primo ministro al posto del dimissionario Fumio Kishida. «Credo che il calo del tasso di natalità sia stato un tema importante nell’agenda elettorale – osserva Tsutsui – tuttavia, non penso siano state introdotte soluzioni innovative. Per i giapponesi, sebbene il calo delle nascite sia importante, sembra una questione che non può essere risolta attraverso la politica».
È qui che Italia e Giappone, alle prese con le rispettive crisi demografiche, finiscono per assomigliarsi: nell’incapacità di trovare una soluzione ai problemi individuali attraverso la dimensione comunitaria. Eppure, secondo il professor Tstutsui, autore anche di un libro dal titolo Work and Family in Japanese Society (Springer, 2020), «i giapponesi, inclusa la generazione più giovane, attribuiscono grande importanza alla famiglia. Però la intendono come fonte di stabilità per la vita, non come luogo di valori comuni. Perciò, sia gli uomini sia le donne tendono a non sposarsi se non intravedono una certa serenità dal punto di vista economico».
E riuscire a scrutare la luce verde all’orizzonte è sempre più complesso, specie di fronte a uno sfrenato individualismo, fondato su una costante attenzione alla produttività e al lavoro, che impone ritmi sempre più frenetici, impedendo la proiezione verso il futuro e, riprendendo Massimo Recalcati, il gusto del desiderio. La crisi del Giappone racconta anche questo.
L’Osservatore Romano – 8/11/2024