A volte calcio e politica si assomigliano. Nel campionato europeo in corso, la nazionale francese non ha mai segnato un goal su azione, eppure è arrivata in semifinale. Allo stesso modo, in Francia, il risultato delle elezioni legislative anticipate sembra aver rafforzato la centralità di colui che è arrivato secondo e che tutti davano per isolato: il presidente Emmanuel Macron.
Certo, il Nuovo fronte popolare (Nfp) ha vinto ma, non avendo ottenuto la maggioranza assoluta, dovrà scendere a compromessi per governare e rischia di dividersi. Sul fronte opposto, il Rassemblement national (Rn) ha subìto una frenata rispetto alle previsioni e alle precedenti elezioni.
«Il presidente è riuscito nella sua scommessa — esordisce Jean-Baptiste Noé, caporedattore della rivista «Conflits», parlando al nostro giornale —: il suo campo resiste meglio del previsto. Ciò obbligherà gli altri partiti a unirsi a lui se non vogliono che sia l’estrema sinistra a governare. Rimane una figura imprescindibile nella vita politica francese». Tuttavia, secondo Noé «bisogna relativizzare la sconfitta del Rn. Ha ottenuto un punteggio più basso rispetto a quanto previsto dai sondaggi, ma è comunque il suo miglior risultato alle legislative. È passato da 88 a 143 deputati. Inoltre, ha ottenuto punteggi molto alti in regioni dove finora era molto debole».
Maroun Eddé, filosofo e saggista autore del libro La destruction de l’État (Bouquins, 2023), rovescia invece la medaglia: «Il vero perdente resta Macron. A breve termine, la coalizione presidenziale passa da 245 a 179 seggi e si ritrova con un parlamento quasi ingovernabile. Eredita una situazione simile a quella precedente alla dissoluzione, ma con meno deputati e una difficoltà maggiore a governare, in un momento in cui la Francia non può permettersi tre anni di immobilismo. Il Rn non ha ottenuto la vittoria che sperava, ma trarrà vantaggio dal fatto di non aver mai governato e di presentarsi come alternativa assoluta al sistema. La vera incognita per il 2027 è cosa sapranno costruire le nuove forze di sinistra, vera sorpresa di ieri».
Sia Noé sia Eddé concordano sull’influenza del sistema elettorale. Secondo il primo, «il fatto che ci siano due turni alle elezioni legislative, con possibilità di ritiri e alleanze, spiega in parte questi risultati». A ciò, Eddé aggiunge poi come «nelle ultime settimane, i rappresentanti di Rn abbiano moltiplicato gli errori e mostrato una forte impreparazione a governare: cambiamenti nel programma, incapacità di proporre candidature, polemiche sui posti chiave dell’amministrazione pubblica. Presentati in fretta, senza controllo, diversi candidati hanno dovuto ritirarsi a seguito di scandali legati a dichiarazioni razziste, antisemite od omofobe. Il Rn, che si era fissato come orizzonte il 2027 per “professionalizzarsi”, non è ancora pronto».
Ma come ne esce la Francia in quanto Paese? «La novità risiede nell’accettazione del parlamentarismo — replica Noè —, nessun partito ha la maggioranza. Sarà quindi necessario costruire coalizioni, accordarsi. La maggior parte dei Paesi europei lo fa già: Paesi Bassi, Germania, Italia… ma in Francia, finora, il partito vincitore aveva una maggioranza assoluta. È una forma di maturità politica da accettare». Soprattutto, aggiunge Eddé, «la Francia ne esce indebolita. Divisa in tre blocchi inconciliabili, l’Assemblea è quasi ingovernabile. È una grande novità, la Quinta Repubblica ha quasi sempre avuto al governo in carica la maggioranza assoluta. Abbiamo perso l’arte delle alleanze politiche e del compromesso. Bisognerà reimpararla, altrimenti il Paese resta bloccato».
Ad ogni modo, un risultato simile, peraltro basato su un’affluenza altissima (quasi al 67%), certifica l’esistenza di divisioni profonde. C’è il rischio di veri e propri scontri civili? «Non credo — replica Eddé —, questo spettro è particolarmente agitato dall’estrema destra, che alimenta simili paure tra la popolazione e favorisce una lettura del mondo in termini di scontro di civiltà, specialmente sul piano religioso. La divisione tra blocchi è comunque il prezzo della frammentazione della società: gli stili di vita e le realtà dei francesi, divisi tra campagna e città, non s’incontrano più».
Di fronte a questo scenario, l’affidabilità internazionale della Francia potrebbe diminuire? «La politica estera cambia poco in base ai governi — rassicura Noé —, ma il nuovo governo, di cui non si sa ancora chi sarà il capo, dovrà affrontare sfide immense: gestire un debito importante, far approvare il bilancio del 2025, ridurre la spesa pubblica. Dopo le gioie della serata elettorale, c’è il duro ritorno alla realtà politica».
L’Osservatore Romano – 08/07/2024