Mentre il presidente russo Vladimir Putin ringrazia il suo omologo nordcoreano Kim Jong-un per «l’ospitalità» ricevuta in occasione della visita a Pyongyang, lo scorso 18 e 19 giugno, e la Corea del Nord lancia di nuovo palloni colmi di spazzatura oltre il 38° parallelo, la Corea del Sud sta cercando di presentare una risposta altrettanto forte.

L’esercito sudcoreano ha ripreso dopo sei anni le esercitazioni militari al 38° parallelo e la scorsa settimana il presidente Yoon Suk Yeol è salito a bordo di una portaerei statunitense a propulsione nucleare (la Uss Theodore Roosevelt) per inaugurare le esercitazioni congiunte tra Seoul, Washington e Tokyo. Le operazioni servono a migliorare la risposta contro le minacce provenienti dalla Corea del Nord. Soprattutto, Yoon ha approfittato della visita per ribadire la fiducia nelle misure di «deterrenza estesa» adottate nella dichiarazione di Washington. Secondo l’accordo firmato col presidente statunitense Joe Biden nell’aprile 2023, gli Usa sono tenuti a utilizzare tutte le loro capacità militari per difendere l’alleato asiatico.

Non solo: Corea del Sud e Stati Uniti hanno tenuto un nuovo ciclo di negoziati per parlare del mantenimento delle 28.500 forze armate americane presenti nel Sud della penisola coreana. Dal 1991 Seoul sta partecipando alle spese per mantenere la presenza militare statunitense sul territorio nazionale. Tuttavia, sotto la presidenza Trump, Washington aveva chiesto ai sudcoreani di aumentare i contributi per oltre 5 miliardi di dollari, cifra ben maggiore rispetto agli attuali 1,03 miliardi di dollari. La Corea del Sud ha detto di voler aprire negoziati basati su una collaborazione economica «ragionevole» tale da rafforzare la presenza degli alleati e, allo stesso tempo, evitare costi eccessivi nella bilancia dei pagamenti.

Come nel 1950, la penisola coreana sta così tornando a rappresentare le divisioni in blocchi e la complessità dello scenario geopolitico. I motivi sono diversi. Innanzitutto, la collocazione geografica fa in modo che proprio qui si scarichino le tensioni fra le massime potenze mondiali. La storia ricorda poi come nel 1953 sia stata firmata una «tregua», non una «pace»: le implausibili prospettive di pacifica riunificazione comportano che, all’aumento delle tensioni internazionali, corrisponda un incremento della conflittualità in Corea. Eppure, nonostante il trentottesimo parallelo resti la zona più militarizzata al mondo, nessuno vuole un conflitto in Corea: l’instabilità tra Nord e Sud serve a tenere alta la minaccia e, quindi, a mantenere la presenza nell’Indo-Pacifico.

«Pace impossibile, guerra improbabile», diceva Raymond Aron. Perciò, a Nord, Mosca e Pyongyang sfilano per dimostrare di voler costruire un fronte antioccidentale: esemplare è il trattato firmato da Putin e Kim con cui – in modo simile a quanto fatto nel 1961 da Mosca e Pyongyang – i due si impegnano a garantire la difesa reciproca in caso di aggressione. A Sud, Washington, pur di ribadire la sua presenza nell’Indo-Pacifico e il suo protagonismo nella lotta ai «nemici dell’Occidente», penetra nello scenario regionale andando in aiuto di Seoul.

Poi ci sono gli attori asiatici più importanti. Da un lato, la Cina, piuttosto cauta nell’approccio alla questione coreana. Dall’altro, il Giappone che, a causa dello scarso consenso nei confronti del governo di Fumio Kishida e delle incognite economiche-finanziarie, sembra puntare tutto sulla strategia militare. Oltre alle esercitazioni navali con Italia e Regno Unito, a luglio Tokyo accoglierà un contingente di oltre 30 aerei militari provenienti da Germania, Francia e Spagna per condurre esercitazioni di addestramento la forza aerea nazionale.

Così facendo, il Giappone vuole confermare agli occidentali di essere un alleato insostituibile. Inoltre, i nipponici mostrano i muscoli per alleviare le rivalità con la Corea del Sud legate all’occupazione della penisola coreana (1910-1945) e alla conflittualità per l’amministrazione delle rocce di Liancourt (in coreano «Dokdo», in giapponese «Takeshima»): un modo per far capire a Seoul che, se vuole davvero rispondere alla minaccia nordcoreana, non può fare a meno di Tokyo.

L’Osservatore Romano – 02/07/2024