L’imposizione di dazi da parte dell’Unione Europea sui veicoli elettrici cinesi e la sezione della dichiarazione finale del G7 dedicata all’Indo-Pacifico sono due notizie che vanno nella stessa direzione: dimostrare l’attenzione dell’Occidente a un’area del mondo sempre più conflittuale e centrale.

Nel farlo, l’Europa sta però rivelando una certa ambiguità in termini tanto economici quanto geopolitici. Per affrontare la questione climatica, Bruxelles ha promosso da anni una serie di obiettivi energetici: dal Green Deal fino al programma Horizon o ai piani REPower Eu o Fit For 55, passando per il regolamento del Consiglio Ue con cui si interrompe la produzione di motori endotermici per auto e furgoni dal 2035.

A detenere la leadership in questi settori che vanno dall’eolico al solare fino all’elettrico non è però l’Europa, bensì la Repubblica Popolare Cinese. Pechino rappresenta circa il 60 per cento del mercato globale di veicoli elettrici. Solo nel 2022 in Cina sono state vendute oltre sei milioni di auto elettriche. Si tratta poi del più grande produttore di pannelli solari al mondo, dal 2022 gli investimenti locali hanno superato i 350 miliardi di dollari e nel 2023 le installazioni in questo settore sono cresciute di oltre il 55 per cento.

Se gli Stati Uniti sanzionavano (a maggio l’amministrazione Biden ha varato dazi per oltre il 100 per cento sulle auto elettriche cinesi, del 25 per cento sulle batterie al litio, del 50 per cento su chip e pannelli solari prodotti da Pechino) e ricorrevano a modelli nazionali o ad alleanze alternative, Bruxelles ha avuto un atteggiamento più permissivo e, secondo i dati dello stesso Consiglio, la Cina fornisce il 100 per cento di terre rare usate dall’Ue.

Ora, proprio a causa di strumenti come incentivi fiscali o piani governativi che hanno permesso alle aziende cinesi di diffondersi, Bruxelles sta cambiando rotta. Ma applicare simili dazi non sarà facile. Lo testimonia innanzitutto il fatto che non tutti i 27 Paesi Ue sembrano favorevoli. L’Ungheria – che presto assumerà la presidenza del Consiglio europeo – dice di «non essere d’accordo con le tariffe punitive». La Germania ha ribadito di essere alla ricerca di una «soluzione amichevole» con Pechino, dove manderà quanto prima il suo ministro dell’Economia perché «è fondamentale parlare adesso».

Soprattutto, l’Ue deve capire se riuscirà ad essere davvero indipendente da Pechino. Gli obiettivi di sostenibilità possono essere raggiunti in modo autonomo? I costi ricadranno sui consumatori? Quali conseguenze ci saranno per imprese e lavoratori? Quanto contano le decisioni prese a livello comunitario rispetto agli interessi dei singoli Stati? E, ancora, quali potrebbero essere le ripercussioni a livello globale di un accerchiamento della Cina?

Il rischio di una risposta ai dazi europei pare concreta: Pechino potrebbe sanzionare a sua volta prodotti alimentari che vanno dal vino ai salumi fino ai formaggi. Problema non da poco, dato che nel 2023 l’agroalimentare europeo ha esportato beni nel mondo per quasi 230 miliardi di euro, il settore è in continua crescita e la Cina è la terza destinazione preceduta da Stati Uniti e Regno Unito.

In un mondo che appare sempre più diviso in blocchi (per quanto “a geometria variabile”, a seconda degli interessi e dei momenti), sta così riprendendo peso la politica industriale e commerciale. E, paradossalmente, strumenti come dazi, stimoli fiscali, nazionalizzazioni o piani economici che tanto hanno avvantaggiato l’ascesa globale di Pechino, se adottati da altri Stati potrebbero minare la potenza economica e tecnologica cinese.

Tuttavia, nell’era della globalizzazione — fenomeno tutt’altro che finito, casomai in trasformazione — un maggiore interventismo dello Stato dev’essere perseguito con criterio. In questo senso geopolitica ed economia devono incontrarsi: lo ha ribadito anche Mario Draghi che, ritirando il premio Carlo V in Spagna, ha notato come, per «sviluppare una vera e propria politica economica estera», l’Ue in primis ha «bisogno di una valutazione comune dei rischi geopolitici che dobbiamo affrontare». Altrimenti, la probabilità di alimentare conflittualità e privarsi di strategia diventerà cruda realtà.

L’Osservatore Romano – 19/6/2024