Non esistono più i riti di passaggio. E non perché non esistano più le soglie. Il primo bacio, la prima relazione, la maggiore età o la prima trasgressione — che sia una sigaretta o un bicchiere di vino — così come la patente, l’inizio dell’università, il primo lavoro, il giorno in cui si va a vivere da soli, il matrimonio: le istantanee che, nella vita di tutti noi e soprattutto dei giovani, scandiscono il ritmo della quotidianità non hanno mai smesso di esistere. Eppure, non vengono più vissute come prima.
Un tempo il raggiungimento della maggiore età coincideva con l’ottenimento di maggiori libertà: più di ogni cosa, si iniziava ad assaporare quella febbre che John Travolta provava quando ballava sulle note di Stayin’ Alive. No, non c’era più spazio per l’invidia provata verso i miti della televisione né tantomeno si era costretti ad andare nelle improbabili discoteche pomeridiane. Ci si poteva sentire adulti perché a diciott’anni, incamiciati e profumati, imbarazzati e impacciati, con l’acne sulle guance e l’odore opulento dell’avvenire, si poteva andare (quasi) ovunque.
Oggi non è più così. I quindicenni non concepiscono minimamente la possibilità che il venerdì o il sabato sera debbano rincasare prima di mezzanotte. Col raggiungimento della maggiore età «mi posso firmare le giustificazioni a scuola» oppure «posso prendere la patente», alcuni fanno le grandi feste, «i diciottesimi», vissuti dai più come una gran scocciatura perché, ammettiamolo, occorre vestirsi eleganti e mettere ingenti somme di denaro per un regalo — venti euro per un ragazzetto possono essere tanti. Ma, rispetto a prima, poco cambia. Privati di dibattito politico serio o di passione per la cosa pubblica, spesso neanche la possibilità di avere diritto di voto è vissuta come un cambiamento.
Persino il modo in cui si entra in contatto coi social network è mutato. Chi scrive ricorda come, per accedere per la prima volta a Messenger o Facebook, tantissimi ragazzi dovessero chiedere l’autorizzazione ai propri genitori. Acquistare il primo telefono ora non è mica un traguardo, ma una pratica da sbrigare il più presto possibile. Obiettivo: sentirsi come gli altri o, nel migliore dei casi, più degli altri.
Che dire poi del matrimonio, visto da molti ragazzi come una pura formalità: a cosa serve se si può convivere? Il viaggio di nozze ha valore se, prima, di viaggi se ne fanno tanti altri, magari più belli e più entusiasmanti? E la convivenza non serve a risparmiarsi quello scomodo vincolo giuridico facendoci capire se il partner è quello giusto o no?
Gli esempi possono essere tanti ma una cosa va subito chiarita: con questo appuntamento di #CantiereGiovani non vogliamo dire che si stava meglio prima. Piuttosto, vorremmo collegare l’assenza di interesse nei confronti dei riti di passaggio all’assenza di entusiasmo, quindi di desiderio, stupore, meraviglia, che caratterizza tanti, troppi giovani.
Fin da piccoli siamo abituati ad avere tutto e ad averlo subito perché, oggi, il genitore ideale è colui che riempie di attenzioni e soddisfazioni i propri figli, impedendo loro di sbagliare o di affrontare ostacoli da soli. L’evaporazione della figura paterna, di cui tanto si parla, equivale all’incapacità genitoriale a saper dire no.
Gli slogan degni della migliore retorica, da «vi abbiamo consegnato un mondo peggiore» a «nella vita devi fare quello che ti piace», nascondono un semplice messaggio: figli, avete diritto a tutto. Ancor più se le logiche consumistiche e individualistiche impongono di anteporre il benessere individuale al resto. Risultato: il senso dell’attesa, l’impegno e la pazienza sono ormai concetti antiquati.
In questo senso, pure il raggiungimento di una soglia che, essendo un traguardo, richiede il desiderio di lottare, la fatica di intraprendere un percorso e l’estasi, la gioia finale di tagliare il punto d’arrivo che segna poi un punto di partenza, non ha alcun valore. Ecco perché i riti di passaggio non vanno più di moda.
Più volte Papa Francesco ci ha invece invitato a recuperare lo stupore, «termometro della nostra vita spirituale». Vale soprattutto per i giovani, il cui compito, ricordava il pontefice nella messa per la XXXVI Gmg è quello «più arduo, ma è il compito affascinante che vi è consegnato: stare in piedi mentre tutto sembra andare a rotoli; essere sentinelle che sanno vedere la luce nelle visioni notturne; essere costruttori in mezzo alle macerie».
Forse è questa la vera sfida della nostra generazione: combattere l’abitudine, ammettere di avere bisogno, abbracciare l’umiltà. Chissà che sia questa la strada per tornare a lottare, desiderare, meravigliarsi e tagliare il traguardo.
L’Osservatore Romano – 17/6/2024