«A casa mia c’è una grande discussione, potete fare qualcosa?»: la voce che, a dicembre, di notte chiama la stazione di polizia di Drancy appartiene a un adolescente di 14 anni. Quando gli agenti arrivano sul posto, scoprono che suo fratello, ventisettenne, ha ucciso la madre con una trentina di coltellate. Un mese più tardi, a Bobigny, Farid, studente liceale di 18 anni, viene affiancato da una macchina mentre esce da scuola ed è circondato da ragazzi che lo aggrediscono usando mazze da baseball: morirà in ospedale, giorni più tardi, per le ferite riportate. Poche ore dopo, sulla banchina della stazione della metropolitana «Basilique de Saint-Denis», Sedan, quattordicenne, viene pugnalato a morte.
Che il concetto di banlieue (dal francese, «sobborgo») sia non solo obsoleto ma soprattutto errato, lo dimostra il luogo che accomuna queste tre storie. Ci troviamo a Seine-Saint-Denis, dipartimento dell’Île-de-France, geograficamente periferico perché a nord-est di Parigi, umanamente centrale perché in esso la grandeur nazionale e gli incubi individuali si fondono, così tanto da fare del 93 non un semplice numero civico bensì — come recita la canzone Seine-Saint-Denis del rapper Jskn — «una mentalità» in cui «mangio, vivo, dormo, penso».
Già, perché qui sorge la cattedrale di Saint-Denis, prima opera dell’architettura gotica, che ospita la necropoli reale in cui sono seppelliti quasi 70 sovrani francesi, da Caterina de’ Medici al Re Sole, cui si aggiungono principi, principesse e servitori della monarchia. Non solo: a Seine-Saint-Denis sta per essere ultimato il villaggio olimpico che ospiterà gli atleti in occasione di Parigi 2024.
Eppure, questo resta il dipartimento più povero e più giovane della Francia continentale: il 27,6 per cento della popolazione (1,6 milioni di persone) vive al di sotto della soglia di povertà, mentre il 42 per cento dei residenti ha meno di 30 anni. Creato negli anni Sessanta per confinare la banlieue rossa comunista, dagli anni Novanta Seine-Saint-Denis è diventato centro di migrazione: oggi, secondo i dati dell’Insee (Institut national de la statistique et des études économiques), il 31,6 per cento degli abitanti di Seine-Saint-Denis proviene da Paesi come Algeria, Marocco, Tunisia, Mali, Sri Lanka, Costa D’Avorio, Haiti o Senegal.
Dai negozi d’abbigliamento agli odori del mercato domenicale, dai manifesti appesi sui muri «contre les violences d’Etat» o «avec le peuple palestinien» ai vetri delle finestre rotte: non si direbbe che Seine-Saint-Denis si trovi a poche fermate di metro dal centro di Parigi. Qui il 20,6 per cento degli alloggi è sovraffollato (tasso più alto di tutta la Francia). Il 40,5 per cento dei giovani ha un genitore che ha solo il diploma di maturità o non ha alcuna qualifica educativa. Per tanti, troppi giovani l’unica soluzione diventa la violenza: tra il 2019 e il 2022, il numero di fascicoli ricevuti dalla procura locale di Bobigny è passato da 178.000 a 227.000 all’anno.
Altro che banlieue, insomma. Storia, migrazione, sport, cronaca nera: Seine-Saint-Denis è uno dei luoghi più rappresentativi della Francia. «Ma tutti, in questo Paese, si sono dimenticati di noi», commenta al nostro giornale M., 19 anni, «i politici vengono qui solo per fare i loro comizi e per annunciare candidature e promesse, poi?».
«Preferisco sia così — ribatte invece S., una giovane incontrata in attesa della metro — a Seine-Saint-Denis posso indossare l’abaya e non essere guardata male. Essere dimenticati, a volte, può significare essere più liberi». «Sono i racconti fatti intorno alla nostra realtà a discriminarla e renderla diversa — riflette invece K., 23 anni — io studio in Sorbona, arrivo a Parigi in bici, rispetto il Ramadan, non indosso il velo. Eppure, vivo a Seine-Saint-Denis. E ci vivo bene. Non mi sento oppressa per chi la abita, ma per chi vuole raccontarla come diversa e non sa valorizzare la vita di singole persone che fanno il loro dovere e che vivono questo spazio non come margine, bensì come centro».
Sulla via del ritorno, con la linea 12 della metropolitana e i suoi viaggiatori che cambiano di fermata in fermata, si realizza ancora meglio come i mezzi pubblici a Parigi siano capaci di tagliare in diagonale la città. Il capolinea a nord-est, Aubervilliers, comune di Seine-Saint-Denis, e quello di Mairie D’Issy, a sud-ovest: treni che conducono non a quartieri diversi bensì a mondi diversi, a margini senza centro. Liberté, égalité, fraternité.
L’Osservatore Romano – 11/5/2024