Almeno 30.000 persone hanno manifestato nel fine settimana a Nouméa, capitale della Nuova Caledonia, territorio d’oltremare francese situato nel sud dell’Oceano Pacifico. Il motivo delle proteste è legato al disegno di legge, adottato in prima lettura in Senato e prossimo alla votazione in Assemblea Nazionale, con cui si vuole dare la possibilità di votare a chi risiede nel territorio da almeno dieci anni.
Con la revisione costituzionale del 2007 è stato infatti stabilito che solo le persone iscritte nelle liste elettorali prima dell’accordo di Nouméa (siglato nel 1998) possono votare alle elezioni provinciali. Risultato: almeno 25.000 persone – di cui 12.000 nate in Nuova Caledonia negli ultimi anni – non hanno alcun diritto di voto.
Eppure, la possibile espansione dell’elettorato in vista delle prossime elezioni provinciali non soddisfa tutta la popolazione, anzi il motivo delle proteste sta proprio qui. Da un lato, i manifestanti con bandiere bianche, blu e rosse si battono per l’attaccamento alla patria e per il riconoscimento di pari diritti per tutti i cittadini francesi al grido di «Parigi, ascoltaci».
Dall’altro lato, almeno 15.000 persone hanno sventolato la bandiera con fasce orizzontali blu, rosse e verdi con un cerchio giallo al centro: essi appartengono al fronte indipendentista, si battono per l’autonomia totale della Nuova Caledonia e per tutelare la comunità indigena locale (i Kanak), quindi accusano Parigi di «essere andata contro l’imparzialità promessa nei trattati». Gli indipendentisti non riconoscono il risultato dei referendum (2018, 2020 e 2021) con cui la Nuova Caledonia ha sempre confermato la sua appartenenza alla Francia – seppur a fronte di una scarsa affluenza, nel 2021 era pari al 43 per cento.
Al caos sociale tra i 270.000 francesi che abitano l’isola si aggiungono poi le incognite economiche legate alle sorti dell’industria del nichel. Sull’isola si trova oltre il 10 per cento della riserva mondiale di questo metallo usato soprattutto per la produzione di batterie per auto elettriche e smartphone.
L’azienda automobilistica di Elon Musk, Tesla, non è la sola a investire nell’isola per questo motivo. Una fabbrica cinese ha avviato una collaborazione per gestire una miniera di nichel nella zona settentrionale dell’isola. Peraltro, la Repubblica Popolare Cinese è il primo Paese per esportazioni in Nuova Caledonia.
La competitività a basso costo ha però indotto i principali investitori del settore minerario a chiudere i finanziamenti in Nuova Caledonia. Problema non da poco visto che l’estrazione mineraria rappresenta almeno il 6 per cento del Pil nell’isola. Il ministro dell’Economia Bruno Le Maire ha invitato le autorità locali, il governo nazionale e le imprese interessate a firmare il piano di rilancio dell’industria del nichel.
Ma è qui che si apre un interrogativo strategico per la Francia: le aziende straniere continueranno a investire in un territorio in crisi, soprattutto se il nichel può essere prodotto a basso costo in altri Paesi come Indonesia e Filippine? La Nuova Caledonia ha la possibilità di virare su altri settori chiave per sopravvivere? Se amministrato male, quale valore assume un territorio lontano 17.000 chilometri da Parigi?
L’Indo-Pacifico è oggi l’area più ambita dalle grandi potenze. La Francia non ha mai nascosto l’interesse di sfruttare i suoi territori d’oltremare per poter partecipare alla partita. Il problema è evitare che questa opportunità le se ritorca contro.
Limes – 18/4/2024