Rafforzare la cooperazione marittima ed economica nel Mar cinese meridionale, ampliare l’influenza americana in Asia e tutelare la sicurezza nazionale di Giappone e Filippine: sono i principali obiettivi del vertice trilaterale tenutosi giovedì a Washington tra il presidente statunitense Joe Biden, il primo ministro nipponico Fumio Kishida e il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. I risultati sono stati immediati: i tre Paesi istituiranno pattugliamenti navali congiunti nel Mar Cinese meridionale, cioè in quelle acque dove continuano ad avvenire incidenti tra le flotte di Manila e Pechino. I rappresentanti della difesa di Stati Uniti, Giappone, Filippine e Australia hanno poi annunciato che, sempre in quest’area, terranno esercitazioni congiunte. Non solo: in una nota pubblicata lo scorso 8 aprile Regno Unito, Australia e Stati Uniti hanno aperto alla cooperazione con il Giappone nell’ambito del patto di sicurezza Aukus stipulato nel 2021.
In apparenza non sembra cambiare molto: Filippine e Giappone si confermano solidi alleati degli americani. Eppure, il vertice sembra contare per almeno tre ragioni. La prima riguarda la forma di alleanze su cui diversi Paesi — Stati Uniti su tutti — sembrano puntare. Viene definita «minilateralismo» e, anziché basarsi sui valori condivisi, si concentra sull’unire pochi Paesi, ma con interessi in comune. Di fronte a un mondo che cambia e a scenari sempre più complessi, è sempre più necessarionon sottovalutare il ruolo delle medie potenze. In questo senso, l’esempio più efficace è quello dei «Five Eyes», l’alleanza che unisce l’Anglosfera (Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda, Australia). Si può pensare anche al Quad (il Quadrilateral Security Dialogue tra Usa, India, Giappone e Australia) o all’I2U2 (il gruppo formato da Usa, India, Israele ed Emirati Arabi Uniti).
Nel caso di Stati Uniti, Giappone e Filippine l’interesse comune è proteggere il Mar Cinese Meridionale – e in particolare lo stretto di Taiwan – dalle attività giudicate «aggressive e pericolose» della Repubblica Popolare Cinese. Ed ecco il secondo motivo per cui l’inedito vertice a tre assume rilevanza: Pechino sa quanto contano Giappone e Filippine in ottica regionale, sulla stampa locale ha fatto emergere le sue preoccupazioni e, dopo aver ricevuto il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e l’ex presidente di Taiwan Ma Ying-jeou e aver inviato una delegazione in Corea del Nord per il settantacinquesimo anniversario dei rapporti bilaterali, sembra correre ai ripari da un possibile accerchiamento. Il governo nipponico si è fatto trovare pronto e nelle scorse settimane ha approvato una serie di linee guida per trasferire attrezzature di difesa a 15 nazioni che hanno firmato patti con il Giappone. Un cambiamento epocale se si pensa che, in base alla costituzione di rinuncia alla guerra, Tokyo si era sempre opposta a esportare armi verso Paesi terzi.
Questa settimana Biden e Kishida hanno siglato circa settanta accordi in campo militare, tecnologico, manifatturiero e universitario. Sul fronte economico, Microsoft ha annunciato che investirà 2,9 miliardi di dollari in Giappone e il premier nipponico ha visitato l’impianto di Toyota in Carolina del Nord, operazione da 13,9 miliardi di dollari dedicata ai veicoli elettrici. Si pensa pure di costruire la prima ferrovia ad alta velocità negli Stati Uniti (in Texas) utilizzando i treni giapponesi.
Così facendo, il Giappone spera di rafforzare la sua proiezione nel Pacifico e ravvivare l’industria nazionale. Ambizioni necessarie specie per un Paese che – occorre ricordarlo – è sempre più anziano, poco stabile sul fronte sociopolitico (il consenso nei confronti di Kishida è ai minimi storici) e alle prese con alcune instabilità della regione.
L’Osservatore Romano – 13/04/2024