Cercatori di soddisfazioni immediate, accumulatori seriali di emozioni, condannati alla scomparsa di ogni punto di riferimento comunitario, abitanti dell’epoca in cui «alla bulimia dei mezzi corrisponde l’atrofia dei fini[1]»: c’erano una volta i giovani. Oggi tanti di loro, troppi, sono in letargo. La prontezza all’azione, tipica della gioventù raccontata e vissuta da Pasolini, Calvino, Pavese o Fenoglio, è stata sostituita dalla resa dello spirito, dall’idea secondo cui il presente è una prigione, dall’abbattimento delle comitive con conseguente trionfo del branco in cui per entrare si dev’essere uguali, dal privilegio di potersi considerare indifferenti perché ogni cosa è estranea, lontana.

Dei giovani italiani si parla così tanto che sembra siano dei marziani, estranei a niente ma impassibili a tutto. In effetti, in relazione al totale della popolazione sono pochi: in Italia ci sono 10 milioni e 200 mila individui tra i 18 e i 34 anni, un valore diminuito di oltre il 23% negli ultimi vent’anni, si tratta cioè di cento giovani ogni 187 anziani. Inoltre, incidono in modo esiguo sul belpaese: 1,7 milioni di coloro che hanno tra i 15 e i 34 anni né studia né lavora. Per descriverli, i media nazionali usano aggettivi come «ansiosi», «fragili», «isolati», «svogliati», inglesismi come «millennials» e «neet: not in education, employment or training», oppure frasi che suonano più o meno così: «se ne vanno all’estero», «nessuno fa i lavori umili di una volta», «vivono su internet».

I giovani non sono tutti così. Anzi, guai a demonizzarli più di quanto già non venga fatto dall’economicismo e dagli slogan. La geopolitica impone piuttosto di comprendere come si comportano gli aggregati umani per poi esaminarne gli atteggiamenti e indagarne la rappresentazione. Rovesciata la medaglia, si può azzardare la teoria: in Italia i giovani scarseggiano, contano poco e non hanno intenzione di riprodursi perché non hanno idea di quale sia la loro vocazione. Un paradosso, se si pensa alle possibilità offerte dal progresso tecnologico, all’accesso all’istruzione o alla facilità con cui si possono soddisfare tanti desideri rispetto a solo vent’anni fa. Nonostante ciò, durante il percorso di crescita tantissimi giovani non riescono a conoscere il proprio talento né la propria passione, non sanno quale corso scegliere all’università né tantomeno cosa fare da grandi perché non hanno gli strumenti necessari a capire come funziona il mondo.

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[1] Espressione utilizzata dal filosofo francese Paul Ricoeur.