«Chi o cosa è un nonno per te?»: la scatola dei ricordi si apre, il sorriso si schiude, il cuore batte al ritmo delle emozioni. E i giovani interpellati da «L’Osservatore Romano» rispondono. «Un tedoforo di saggezza», «un libro di storia», «ciò che scandisce perfettamente il tempo», «una fiamma, qualcuno che vive per le attenzioni che tu le dai e in cambio emana calore», «un ponte tra due ere», «una quercia robusta», «cura e passione», «uno che mi racconta di essere stato sfollato in una chiesa a Montale durante la Seconda guerra mondiale», «la prima persona che mi ha spiegato cosa è l’amore», «a me ha insegnato a tifare la Roma».

Oggi più di ieri, giovani e anziani sembrano essere accomunati dalla fragilità. Sui giovani si sente dire di tutto: sono isolati nel loro mondo, non stanno mai a casa e nessuno di loro vuole più fare i lavori umili. La cultura dello scarto, invece, ha messo ai margini della società gli anziani, reputati inutili e ormai incapaci di stare al passo col progresso.

Questa situazione sembra aver creato un’alleanza unica: il legame tra nonni e nipoti oggi si è rafforzato e tantissimi ragazzi passano più tempo coi propri nonni anziché coi genitori. Perché, come testimoniano tanti giovani, «non mi sento giudicato», «mi raccontano tante storie», «mi ascoltano», «si fanno aiutare», «trasmettono calore», «sono teneri», «non sono separati», «sono cresciuto con loro», «sono un esempio».

Certo, va detto fin da subito che, in Italia come in tanti altri Paesi occidentali, l’età media si è alzata e il tasso di natalità è in continuo calo. Nel 2022, in Italia, l’Istat ha contato 187,9 anziani ogni cento giovani. Gli anziani hanno poi molto tempo libero da dedicare alla famiglia. Un incontro tra queste due fasce generazionali sembra quindi essere naturale. Tuttavia, senza una certa predisposizione d’animo non potrebbe mai avvenire.

Ed è su questo annullamento delle distanze che occorre riflettere. Come aveva notato Papa Francesco in occasione della terza giornata mondiale dei nonni e degli anziani, gli anziani «consegnano al presente un passato necessario per costruire il futuro».

Quando un nipote parla col proprio nonno, acquisisce consapevolezza dello scorrere del tempo e comprende che la vita terrena non è infinita. Ancor più, si sente parte di una comunità che è allo stesso tempo familiare ed educativa. Impara il senso della storia, apprezza l’identità nazionale, si meraviglia dei tanti sacrifici compiuti in passato e, allo stesso tempo, si sfoga, scopre aneddoti familiari, cerca di conoscere le grandi storie d’amore per risolvere le dinamiche, complesse, vigliacche ma affascinanti, del proprio cuore. Poi, conosce la meticolosità e la pazienza: tutti prima o poi saranno chiamati a svolgere l’ardua missione di spiegare cosa è uno smartphone o un social network a un anziano. Eppure, proprio su social network come Instagram o TikTok spopolano le pagine in cui si racconta il rapporto quotidiano, buffo ma tenero tra nonni e nipoti.

Nel suo ultimo film, incentrato proprio sulla storia di due ragazzi che si ritrovano in una residenza sanitaria assistenziale (Rsa), Marco Risi paragona il rapporto tra giovani e anziani al punto di rugiada, la zona a cavallo tra il gas e la miscela gas-liquido, la temperatura alla quale l’aria diventa satura di vapore acqueo. Come se esistesse uno spazio in cui le differenze generazionali e le molteplici concezioni del tempo si incrociano e si annullano, i dialoghi finiscono per diventare un umidificatore di speranza e ricordi, il calore fluttua nell’aria.

Altrettanto significativa è una poesia del poeta spagnolo Juan Ramón Jiménez, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1956: «Io non sono io / Sono colui / che mi cammina accanto senza che io lo veda / che, a volte, vado a trovare, e, altre, dimentico. Colui che tace, sereno, quando parlo / colui che perdona, dolcemente, quando odio / colui che passeggia là dove non sono, colui che resterà qui quando morirò».

Sembra proprio essere la definizione di un nonno. Soprattutto per chi scrive e ha tentato, in quanto giovane, di rispondere alla domanda iniziale «chi o cosa è un nonno per te?». Circondato dagli scatoloni, intento a mettere via gli addobbi natalizi, settimane fa ho trovato un biglietto scritto nel 2004 da mia nonna materna contenente un suggerimento per il futuro: «Da grande leggi Juan Ramón Jiménez». La sua prima poesia che ho letto è stata proprio Io non sono io. Una carezza della memoria.

L’Osservatore Romano – 03/02/2024