Pochi praticanti, tantissimi battezzati. Lo strano paradosso è tutto italiano. In diversi paesi europei lo svuotamento delle chiese procede di pari passo con la riduzione dei sacramenti: ad esempio, in Spagna, meno del 50 per cento dei bambini nati nel 2019 è stato battezzato e in Francia, nel 2015, solo il 45,9 per cento degli under 20 diceva di essere battezzato. In Italia i dati delle diocesi locali rivelano che, nonostante solo il 19 per cento della popolazione si dichiari praticante, nel 2020 a Roma l’82 per cento della popolazione era battezzata e nel 2019 Milano contava 5.078.297 battezzati su 5.558.412 abitanti.

Come mai? Per capire cosa pensano i giovani del primo dei sacramenti cristiani, ci siamo rivolti direttamente a loro. Debora, 23 anni, del suo battesimo non ricorda nulla perché, ci racconta, «avevo poco più di cinque mesi. Questa assenza di consapevolezza e di ricordi fa sì che tanti miei coetanei non ci pensino proprio al battesimo. Se ci pensano, lo vedono come un qualcosa che non ti cambia la vita perché lo si fa o per consuetudine familiare o per non sentirsi diversi dalla maggioranza. Ma poi?». Maddalena, 23 anni anch’ella, rincara la dose: «Non vedo alcuna differenza tra un giovane battezzato e uno non battezzato. Dopo essersi allontanati dal cristianesimo, i miei genitori hanno deciso di aspettare che potessi essere io a decidere se battezzarmi o no. Crescendo, non ne ho mai sentito il bisogno. Sì, sarà capitato quando vedevo gli amici scartare i regali in occasione della comunione o della cresima, ma non è mai stato niente di serio. Ammiro molto chi crede e, anzi, vorrei riuscire pure io a credere. Non ci riesco. Più mi confronto col mondo cristiano, meno ne vengo attratta perché non credo abbia senso affidarsi a qualcosa che per me non esiste».

Essere battezzati, però, non significa automaticamente essere cristiani, soprattutto in una società dove il senso della religione è appiattito. Ed è un rischio, perché significa svilire il significato di un sacramento, agire senza consapevolezza e non essere coscienti dell’importanza della propria identità spirituale. Certo, non è sempre così. Lo dimostra la storia di Elia, 18 anni, che si è battezzato solo poche settimane fa perché «mi sono innamorato della parola di Gesù e dello stile di vita cristiano. Per me si è trattato dell’ufficializzazione di una scelta. Ho deciso di schierarmi dalla parte del bene e l’ho fatto in modo consapevole». Dietro questa scelta c’è un percorso ben più lungo, iniziato da un momento di disagio perché, ci spiega Elia, «mi sono avvicinato alla fede quando un mio amico è morto. Com’era possibile che non lo avrei più rivisto? Ho iniziato a domandarmi cosa c’è dopo la morte. In quei giorni un altro amico mi portò a messa. Era la prima volta. Ancora ricordo il sacerdote che legge la parabola della rete e il mio stupore nell’ascoltare la storia di chi lascia ogni cosa per diventare pescatore di uomini. Proprio in quel momento ho avvertito la necessità di credere in qualcosa. Negli occhi delle persone della mia parrocchia, in primis don Renato e don Hamilton, ho conosciuto la vita di fede e il valore della semplicità. In un mondo iperconnesso solo su internet, mi hanno insegnato cosa vuol dire essere comunità. Attraverso la preghiera ho imparato a vedermi da fuori. Così, arrivato a 18 anni, non ho avuto dubbi: mi battezzo. E faccio pure tripletta, con comunione e cresima».

In una società dove schierarsi è diventato sempre più difficile, l’atto del battesimo vorrebbe dimostrare proprio questo: il coraggio e l’importanza di scegliere. Ancor più, il coraggio e l’importanza di far scegliere, affidarsi a dei modelli di vita come quello familiare, far tracciare ad altri il proprio percorso. «E non a degli estranei», riprende Debora: «I miei genitori hanno deciso di inserirmi su una strada che dovrò scegliere se intraprendere o no. Il momento della cresima per me ha rappresentato una conferma di quel primo sacramento. Come madrina di battesimo di mia nipote, sento di avere delle responsabilità nei suoi confronti».

Famiglia, responsabilità, confrontarsi, schierarsi, innamorarsi. Se alcuni giovani, specie in un contesto come quello attuale, pensano a certe parole quando li si interroga sul senso del battesimo, allora essere cristiani e scegliere per il battesimo dovrebbe essere il gesto rivoluzionario per eccellenza. Il problema è che le rivoluzioni non si fanno per abitudine. Si fanno per scelta, per amore, per fede.

L’Osservatore Romano – 10/01/2024