La guerra in Mozambico scoppia la notte del 5 ottobre 2017 a Mocìmboa da Praia, nord del paese. Trenta persone attaccano le infrastrutture simbolo del potere statale e uccidono 17 persone. L’aggressione diviene perfetta rappresentazione di cosa vuole essere il gruppo terroristico Sunna Wa Jama (Aswj): nemici dell’autorità statale, assassini della popolazione locale.
C’è un aspetto però che, più di ogni altro, interessa la rubrica #CantiereGiovani. La popolazione locale chiama il gruppo terroristico in due modi: Machababos, «i molti ragazzi», oppure Al Shabaab, che in arabo significa «giovani». Una definizione non casuale né puramente semantica. Proprio per questo essa ci tocca e ci riguarda. Insomma, com’è possibile che la parola «giovani», nella maggior parte dei casi accostata a volti speranzosi, motivati, pieni di futuro e di gioia, venga invece usata per descrivere un’organizzazione terroristica?
Ne abbiamo parlato con Fra Luca Santato, appartenente alla provincia veneta dell’Ordine dei frati minori cappuccini, dal 2016 missionario in Mozambico e oggi superiore della fraternità locale: «Vivo in una delle discariche di Maputo con circa 1200 ragazzi mozambicani perché qui, in periferia, sorgono l’orfanotrofio e la scuola di formazione di cui ci occupiamo», esordisce Fra Luca al nostro giornale. «Con questi ragazzi passo la maggior parte del tempo: li porto in ospedale, li accompagno a vendere oggetti per mettere da parte i soldi, vado a trovarli in carcere, ci parlo, conosco e capisco sogni, progetti, aspettative».
Ci viene subito spontaneo domandare cosa sogna un giovane in Mozambico. «Qui i giovani hanno una conoscenza limitata della realtà e quindi hanno sogni molto semplici – risponde Fra Luca – vogliono fare gli infermieri, i dottori, lavorare la terra, diventare poliziotti oppure insegnanti perché vedono la scuola come una possibilità».
Tuttavia, Fra Luca osserva come «è il contesto sociale che li frena. In Mozambico pesano almeno tre fattori. Il primo: la scuola costa troppo rispetto alle possibilità di vita di un cittadino medio. Poi, se si pensa che fino a trent’anni fa questo Paese era in guerra, si capisce anche il motivo per cui l’istituzione familiare non esiste: moltissimi adulti sono ignoranti, non per scelta ma per condizione. Infine, i servizi sanitari sono inaccessibili, è impossibile lavorare dignitosamente e avere una casa. Viaggiare costa troppo, quindi sull’esterno ci sono poche aspettative, mentre nel territorio ci sono tante risorse. Eppure, proprio a causa di queste lacune formative e sociali, c’è un’enorme distanza tra il ragazzo e l’idea che egli ha del suo ruolo nella società».
Ecco come la mancanza di prospettive si trasforma in rabbia verso gli anziani corrotti e ingiusti che detengono il potere e hanno alimentato un’urbanizzazione incontrollata. La violenza diventa l’unica soluzione. «Ma essa non riguarda solo gli atti terroristici – precisa Fra Luca – guardiamo, ad esempio, l’aspetto femminile. Tante giovani finiscono per fare violenza al loro corpo perché diventano prostitute. Moltissime fanno uso di alcol e droga. A 14 o 15 anni diventano mamme e la loro vita, da quel momento in poi, sarà sempre la stessa. È un circolo vizioso senza fine».
Una delle pochissime istituzioni straniere presenti nel territorio è la Chiesa cattolica, ancor più dopo gli accordi mediati dalla Comunità di Sant’Egidio nel 1992. Ricordando come l’Africa stia vivendo un incremento unico delle vocazioni, Fra Luca mette in risalto una differenza rispetto all’Occidente: «Qui gli oratori sono pieni, i ragazzi vengono, pregano e si divertono. Il problema è che lo fanno una volta a settimana. Il resto del tempo lo passano da soli».
Ed è proprio in questa solitudine che l’individuo si annienta o, nel peggiore dei casi, finisce per scagliarsi contro il prossimo che identifica come il nemico. «In questi spazi la Chiesa deve intervenire – dice Fra Luca – e per questo abbiamo proposto il progetto ‘Casa San Francesco e Santa Chiara’ a Boane. A Natale faremo un pranzo comunitario, a gennaio il centro medico sarà pronto e, nel secondo semestre del 2024, inizieranno i lavori per l’orfanotrofio. Qui i bambini entreranno in un percorso formativo, spirituale ed economico volto a un solo obiettivo: avvicinare i sogni dei ragazzi mozambicani alla realtà».
L’Osservatore Romano – 11/12/2023