Una terra che fa da cerniera tra Russia e Cina, un popolo di nomadi e pastori in cui quasi un terzo dei cittadini vive al di sotto della soglia di povertà, una delle comunità cattoliche più piccole al mondo, il cardinale più giovane del collegio cardinalizio: sono questi i principali motivi che portano papa Francesco in Mongolia per il suo 43° viaggio apostolico.
Tra il 31 agosto e il 4 settembre, ad accogliere il pontefice nei nove luoghi di culto ufficialmente registrati in Mongolia sarà presente il cardinale Giorgio Marengo: classe 1974, nato a Cuneo, Marengo nel 2000 è entrato a far parte del ministero pastorale ad Arvajhėėr, il 2 aprile 2020 è stato nominato da Bergoglio prefetto apostolico di Ulaanbaatar, capitale della Mongolia, con carattere vescovile e il 27 agosto 2022 è stato creato cardinale. Soprattutto, ci saranno circa 1.500 fedeli, 75 missionari e missionarie in rappresentanza di 10 congregazioni religiose e 27 nazionalità, 29 sacerdoti di cui 2 locali.
Numeri bassi, ma non insignificanti. Ancor più se si pensa che, solo trent’anni fa, il missionario e sinologo belga Jerome Heyndrickx diceva di non essere a riuscito a contare “neanche un cristiano, uno di numero intendo, tra i più di due milioni di mongoli”. In realtà, il cristianesimo in Mongolia si era già diffuso tra il V e il VII secolo attraverso la Chiesa d’Oriente e la dottrina cristologica nestoriana, come testimoniato dal resoconto di viaggio del missionario francescano Guglielmo di Rubruck compiuto tra il 1254 e il 1255.
Simbolo di dialogo interreligioso fu l’iniziativa di Gengis Khan che, nel XIII secolo, invitò musulmani, cristiani, buddisti e taoisti a vivere insieme nelle steppe della Mongolia. Da ricordare anche Giovanni da Pian del Carpine, messaggero di pace inviato da papa Innocenzo IV dai mongoli alle porte d’Europa, la missione diplomatica del francescano Giovanni da Montecorvino, inviato da Niccolò IV, e le parole scritte dal gran khan Gasan a Bonifacio VIII.
Tuttavia, l’emergere della dinastia Ming in Cina, la diffusione dell’islam e poi la nascita della Repubblica popolare mongola (1924) avrebbero posto fine al cristianesimo in Asia. Nel 1992 il governo nato dalla disgregazione dello Stato comunista e guidato da Punsalmaagiin Ochirbat, primo leader mongolo eletto dal popolo, apre al dialogo religioso e firma con il Vaticano un accordo bilaterale volto a stabilire relazioni diplomatiche. I missionari cattolici iniziano così a dedicarsi all’annuncio e alla catechesi, s’impegnano in campo sociale, educativo e sanitario, fondando parrocchie, scuole, ambulatori e centri culturali. Quasi un terzo dei missionari ha origine sudcoreana, simbolo di una Chiesa che in Asia si fa comunità senza confini. In quegli anni si forma la Caritas locale, riconosciuta però da Ulaanbaatar solo nel 2010.
L’essere minoranza religiosa ha pesato e pesa ancora, specie in un paese in cui il buddismo tibetano rimane religione maggioritaria e l’ateismo ha regnato sovrano per decenni. Negli anni Novanta la Mongolia stava attraversando una recessione economica caratterizzata da inflazione e disoccupazione, alimentata dal crollo dell’Unione Sovietica e dalle calamità naturali. Con il passare degli anni il paese ha fatto dell’estrazione mineraria il suo punto di forza, puntando anche sulla produzione di cashmere e sulla rete ferroviaria, per aprirsi oggi al commercio elettronico e alle terre rare.
Il progresso mongolo è frenato dallo strapotere delle élite locali, dalla corruzione, dall’assenza di accesso diretto al mare e dalla conseguente necessità di affidarsi alle connessioni logistiche con Cina e Russia per le esportazioni. La Mongolia resta divisa tra la capitale – relativamente tecnologica, desiderata e vissuta da chi ambisce a un lavoro stabile – e i grandi villaggi di periferia caratterizzati da allevamenti, povertà e isolamento.
Nel mezzo, si sta inserendo una Chiesa “piccola ma viva” che si pone come obiettivo quello di “sperare insieme”, come recita il motto del viaggio apostolico di Francesco. Se si guarda ai numeri attuali, si possono comprendere i progressi fatti dall’evangelizzazione: secondo il censimento del 2020, su oltre 3 milioni di abitanti, il 51,7% dei mongoli è buddista, il 41% si considera “non religioso”, il 3,2% musulmano, il 2,50% segue lo sciamanesimo mongolo e l’1,30% è cristiano. La creazione del cardinale Marengo ha facilitato l’integrazione con la comunità politica locale.
Papa Francesco sarà il primo pontefice a visitare la Mongolia e ci andrà per vari motivi. Il principale ha a che fare con una parola cara alla Chiesa e in particolare a Bergoglio: periferie. Consapevole che la crisi della religione attraversata dalla società contemporanea sta rendendo tutto il mondo un luogo “da evangelizzare”, la Chiesa di Francesco intende realizzare la sua missione verso “todos”, soprattutto dove è più difficile. Perciò Francesco ha in programma di recarsi a Marsiglia e non a Parigi e poi dovrebbe visitare il Kosovo.
Nella scelta della Mongolia potrebbe contare anche la guerra in Ucraina. Questo paese è vicino a Russia e Cina, protagonisti indiscussi della contemporaneità con cui però l’Occidente fa fatica a dialogare. I rapporti tra Mosca e il Vaticano sono stati condizionati dalla guerra in Ucraina, ma Bergoglio ha sempre ribadito il suo impegno nel dialogo con tutte le parti coinvolte nel conflitto, con la politica e con la società. Ad esempio, la settimana scorsa il pontefice ha parlato in videocollegamento ai giovani cattolici russi chiedendo loro di “essere artigiani di pace in mezzo ai conflitti”. Dall’altro lato, la creazione del cardinale Stephen Chow Sau-Yan, vescovo di Hong Kong, potrebbe rafforzare la presenza della Chiesa in Cina.
Forse proprio per la delicatezza dei rapporti diplomatici, è tuttavia probabile che, durante la sua visita in Mongolia, il papa non insista troppo su temi geopolitici. Andare in visita nel paese cuscinetto tra Russia e Cina, dove scorrono le materie prime che rafforzano le relazioni tra i due Stati, significa già molto. Soprattutto nell’ottica dell’annunciata visita del cardinale Matteo Maria Zuppi a Pechino, del dialogo con Mosca e dell’accordo bilaterale tra Cina e Santa Sede. Durante il viaggio apostolico in Kazakistan del 2022, Reuters aveva riferito che il Vaticano aveva tentato invano di far incontrare il papa con il presidente cinese Xi Jinping. Ora Francesco ritorna in un paese ai confini con la Repubblica popolare cinese.