Per il numero 7/23 di Limes, “Il gran turco“, ho intervistato Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia.

LIMES Il 28 maggio Recep Tayyip Erdoğan è stato confermato presidente della Turchia per altri cinque anni. Non crede che, per ampliare la proiezione geopolitica turca e per rendere più appetibili i suoi disegni, a Erdoğan convenga farsi baluardo di un’apertura religiosa che in altri paesi islamici, si pensi all’Iran, non esiste?

BIZZETI Un governo intenzionato a dialogare in modo serio con l’Europa e con l’Occidente, così come col mondo intero, deve garantire un certo pluralismo religioso, parametro oggi riconosciuto come indice di democrazia. Non si può più pensare alla religione come fatto individuale. Dobbiamo prendere atto, riconoscere e garantire l’apertura religiosa. La Turchia ha fatto moltissimi passi in avanti, ma il trattato di Losanna pone troppi limiti. Non possiamo costruire una nuova chiesa, non possiamo aprire una scuola cattolica né un centro culturale. Una nazione musulmana che vuole convivere con altre espressioni religiose dovrebbe superare tutto ciò.

LIMES In questo senso non sarebbe importante un maggior dialogo con Roma e, ancor più, con un pontefice come Francesco che è riuscito a fare della Chiesa cattolica un attore super partes e sempre più aperto al mondo?

BIZZETI Erdoğan è stato il primo presidente turco, dopo 59 anni, a essersi recato in Vaticano per incontrare un pontefice. È avvenuto nel 2018. Quattro anni prima, papa Francesco si era recato in Turchia per il quinto viaggio apostolico del suo pontificato. Credo sia nell’interesse della Turchia incentivare un dialogo con un’autorità spirituale e geopolitica del calibro della Santa Sede. Dal punto di vista di Roma sicuramente c’è interesse a mantenere aperto il dialogo: la Turchia è un paese speciale, musulmano ma biblico, con profonde radici cristiane, dove i vescovi sono sempre presenti e i luoghi di culto sono sempre aperti. Si tratta di un laboratorio interessante per un islam moderato che si apre al dialogo e per un cristianesimo intelligente che sa vivere in un paese musulmano senza smanie di proselitismo.

LIMES E poi c’è l’Unione Europea. Che, tuttavia, di fronte a una Turchia dai tratti sempre più imperiali resta in una posizione ambigua: Bruxelles critica Erdoğan sui diritti civili e sociali, ma fa poco per affrontarlo sul piano geopolitico. Perché?

BIZZETI L’Ue è ambigua per due motivi. Il primo: ha relegato la religione all’ambito privato. Non esiste più una dimensione collettiva o sociale della fede. Abbiamo separato la vita religiosa dalla vita culturale. È un deficit enorme di cui c’è ancora scarsa consapevolezza. Di conseguenza, facciamo fatica a comprendere un paese dove la religione è importante: la Turchia è diventato un mosaico di cui sappiamo poco e niente. Il secondo motivo è dovuto a quella che chiamerei la sua malattia per i princìpi: Bruxelles non può bacchettare la Turchia solo su ciò che vuole, facendo dichiarazioni sui diritti civili e sociali, pretendendo allo stesso tempo di ampliare i rapporti commerciali, ma ignorando il tema delle minoranze religiose o dei rifugiati, su cui la Turchia è stata invece piuttosto generosa.

L’intervista completa è disponibile quihttps://www.limesonline.com/cartaceo/e-ora-di-aggiornare-il-trattato-di-losanna