Solidarietà ma conflittualità, unità e pace ma conflitti e guerre: in un contesto globale così complesso c’è ancora spazio per la religione? In che modo gli attori religiosi possono promuovere quei valori di cui si fanno portatori? Il dialogo interreligioso può essere uno strumento per la diplomazia e la costruzione della pace?
Su questi temi si è svolta, giovedì 15 giugno, una tavola rotonda organizzata dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) presso il Parlamento italiano e promossa da Andrea Benzo, inviato speciale per il ministero degli Affari esteri italiano per la tutela della libertà religiosa e il dialogo interreligioso. Proprio il ministero degli Affari esteri, dal 2019, gestisce un Fondo dedicato all’assistenza a comunità cristiane in aree di crisi. Alla tavola rotonda ha partecipato, insieme a esponenti del mondo istituzionale italiano, accademico, sociale e religioso, Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali della Santa Sede.
«Quando si parla di religione e di pace, la prima cosa che viene in mente è la preghiera», ha esordito l’arcivescovo, perché essa è «un modo privilegiato attraverso cui solo chi ha fede può esprimere il proprio desiderio di pace». Un desiderio «fondato su quattro direttive etiche, tipiche delle grandi tradizioni religiose: rispetto per la vita, dialogo, onestà, rispetto reciproco». Solo così potrà funzionare il dialogo interreligioso, «fondamentale per costruire la pace tra le nazioni, dato che circa l’85 % della popolazione mondiale si identifica in una religione» e per «evitare che il fondamentalismo prenda il sopravvento e si moltiplichino le persecuzioni religiose».
Tanti i riferimenti all’impegno dei pontefici, specialmente «ai Papi più recenti, che hanno sempre condannato la guerra e hanno avuto a che fare con un altro tipo di guerra: la guerra giusta». Qual è la via da seguire, però, in un mondo devastato da tanti conflitti, in cui la comunità cristiana resta la più perseguitata al mondo? «È necessario attivare misure che permettano alle parti di entrare in uno stato di pace e di giustizia, non di aggressione e di morte — ha spiegato Gallagher — la pace non dev’essere più vista come assenza di guerra imposta con la forza, ma come un atto di giustizia inscritto nella realtà». Centrale diventa allora la «fraternità, considerata da Papa Francesco un fondamento e una via per la pace. Così come essa guida gli individui, dovrebbe guidare la famiglia delle nazioni, assieme alla nonviolenza e alla carità».
Solo seguendo questo percorso le istituzioni religiose saranno capaci di contribuire al dialogo più di quanto fanno le istituzioni politiche, sociali e culturali. Diventare baluardo del pluralismo, restare attaccati alla realtà, promuovere il contatto umano, non rilegare la religione all’ambito individuale. Se non esiste più una dimensione sociale della fede, rischia di venire meno l’identità di un paese. Se non si pone la religione al centro dei valori nazionali, non si comprendono quei paesi dove la religione resta importante. Se non ci si fa baluardo del rispetto e del dialogo interreligioso all’interno dei propri confini, sarà sempre più difficile diventare messaggeri di pace nel mondo.
L’Osservatore Romano – 16/6/2023