Concretezza e universalità. Non portare l’uomo a sé, ma liberarlo da sé. Aprirlo all’altro, aprirlo a Dio. Chi è un vescovo? È questa la domanda chiave del libro Il vescovo, il pastore. L’autorità nella Chiesa è sempre “al servizio”, di Papa Francesco e Carlo Maria Martini (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2022, pagine 128, euro 15), presentato ieri 24 febbraio a Roma nella sede de «La Civiltà Cattolica». L’incontro, moderato dal direttore padre Antonio Spadaro, è stato aperto dai saluti del presidente della Fondazione Martini, padre Carlo Casalone, e dell’amministratore delegato del Gruppo editoriale San Paolo, don Antonio Rizzolo, che hanno poi lasciato la parola ai due ospiti: monsignor Paolo Bizzeti, vicario apostolico di Anatolia, e suor Nicla Spezzati, già sottosegretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.
Innanzitutto, gli autori e protagonisti: Bergoglio e Martini. «Diversi sul profilo pastorale — ha esordito Spadaro — ma due gesuiti con la stessa formazione. Due vescovi, uno di Buenos Aires, l’altro di Milano, consapevoli delle dinamiche delle metropoli. E due pastori con una visione apostolica della missione. Capaci di comprendere come la prospettiva del vescovo vada oltre il recinto. Un vescovo non è tale per portare le persone a messa o per contare i battezzati. Egli tocca le esigenze dell’umanità. Propone valori a tutti. Aiuta senza alcuna eccezione. Ecco il valore missionario di Gesù e il vero umanesimo dell’enciclica Fratelli tutti. In questo senso il vescovo è un pastore, non un pilota, né tantomeno un principe. Come la figura del vescovo Myriel nel romanzo I miserabili di Victor Hugo, spesso evocata da Papa Francesco: un’anima semplice, capace di amare».
Entro questi termini si gioca la grandezza e l’unicità di un testo che, prima della sua riedizione, era diventato introvabile. «È il momento opportuno per questa pubblicazione. Durante il sinodo», osserva suor Nicla, «la Chiesa di Dio è chiamata a capire quanto sa essere evangelica. Questo libro è una lettura dell’anima, che non tralascia, sia chiaro, i racconti quotidiani: la cura della persona, la meditazione, le relazioni con i sacerdoti e con gli altri vescovi, l’incontro col popolo e il tempo per lo studio». Ma chi è il vescovo, quindi? «È un uomo che crede, che — riflette Spezzati — si fa carico del suo popolo e sa stare davanti a Dio. È monsignor Tonino Bello quando chiedeva di “meditare sulla croce che pende dal nostro collo”. È monsignor Martini che, dall’incontro con i detenuti di Milano, usciva in lacrime. Insomma, il vescovo è un uomo che porta maturazione alla figura di Cristo. Capace di un intelletto creativo, di ridefinirsi sempre perché ogni giorno è nuovo e ogni istanza culturale è nuova. Tessere trame di giustizia e di pace. Senza avere paura di mescolarsi alle persone».
Ma chi è il vescovo, quindi? «È un uomo che crede, si fa carico del suo popolo e sa stare davanti a Dio – riflette Spezzati – è monsignor Tonino Bello quando chiedeva di “meditare sulla croce che pende dal nostro collo”. È monsignor Martini che, dall’incontro coi detenuti di Milano, usciva in lacrime. Insomma, il vescovo è un uomo che porta maturazione alla figura di Cristo. Capace di un intelletto creativo, di ridefinirsi sempre perché ogni giorno è nuovo e ogni istanza culturale è nuova. Tessere trame di giustizia e di pace. Senza avere paura di mescolarsi alle persone».
E Martini questo incontro verso l’altro lo ha portato avanti anche con le altre religioni, come ricordato da monsignor Bizzeti: «Il vescovo di Milano aveva rapporti a trecentosessanta gradi con gli ebrei, con gli atei e con le Chiese locali. Aveva compreso che ognuno di noi non è vescovo solo della propria diocesi. Bisogna invece restare aperti a tutta la chiesa, a tutte le religioni. Senza imporsi. Martini non si è mai imposto in quanto vescovo. Vedeva l’autorità come un servizio».
Dunque, di Martini non emerge solo «la figura dello studioso – prosegue Bizzeti – bensì di un uomo che attraversava crisi salutari, che si poneva molte domande e aveva il coraggio di porre domande, mettersi in discussione e alla ricerca. Di fronte alla questione della morte, non dava risposte, anzi confessava la sua paura, l’incapacità di conoscere».
Spadaro ricorda l’invito di Papa Francesco a «tenere presente la lotta forse drammatica per la fede e il vangelo che un cristiano deve sostenere ogni giorno per continuare a credere». La lotta. Ecco, l’ospedale da campo. Una situazione che Bizzeti conosce drammaticamente bene. «In questi giorni Turchia e Siria sono davvero ospedali da campo», ha detto il vicario apostolico di Anatolia ricordando il terremoto del 6 febbraio: «Gli insegnamenti di Martini funzionano perfettamente in una società dove il cristianesimo è già ramificato. Altrove non è facile. Prima del mio arrivo, la mia diocesi era rimasta senza vescovo per cinque anni. Ed è qui, allora, che si coglie la complessità del ruolo del pastore ma anche il suo valore, la sua sfida nel mondo». Aveva ragione Ignazio di Antiochia quando diceva che «dove c’è il vescovo c’è la Chiesa». Perché il senso del pastore è, in fondo, il senso dell’unità.
L’Osservatore Romano – 25/2/2023