Come per magia, si ritrovano sugli scaffali del supermercato, consegnati e inscatolati, per poi finire a tavola. Ma dietro c’è ben altro. Si lavorano, si imballano, si spediscono, si comprano, si scambiano. Via terra e via mare. Grano, riso, mais, orzo, farro, avena, frumento e tanti altri. Sono i cereali, matrice di civiltà, radice della natura, simbolo del commercio, ma anche movente di conflitti e povertà.
Come sta accadendo in questi mesi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, poiché Kiev e Mosca insieme rappresentano il 30 per cento delle esportazioni globali di grano, il 15 per cento di mais, più del 16 per cento di colza, il 77 per cento di olio di girasole e l’80 per cento di semi di girasole. La FAO ha riferito che oltre cinquanta Paesi nel mondo, principalmente africani e asiatici, dipendono dalla Federazione Russa e dall’Ucraina per almeno il 30 per cento del proprio fabbisogno di grano importato. Di questi, 26 Paesi si riforniscono da Kiev e Mosca per oltre il 50 per cento del grano utilizzato. Ma, per il 2022, la produzione e il commercio di cereali viene stimata in calo a livello globale, raggiungendo il minimo degli ultimi tre anni. Ad essere a rischio non sono perciò solo i Paesi più poveri.
La conseguenza, prevedibile quanto inevitabile di un caos apparentemente ingovernabile, l’alta inflazione con cui siamo alle prese da mesi. «Bloomberg» ha stimato che, rispetto al 2021, il costo dei cereali negli Stati Uniti è aumentato del 16,8 per cento dall’inizio del 2022. E se negli Usa l’inflazione a luglio è rimasta elevata ma si è stabilizzata, e quindi è rallentata rispetto alle previsioni di un possibile incremento, ciò è dovuto principalmente alla diminuzione del costo dell’energia, perché per la sezione cibo i prezzi complessivi restano in aumento dell’1,14 per cento rispetto a giugno e del 10,9 per cento rispetto al 2021.
Nel Regno Unito, a luglio, contro ogni previsione l’inflazione è schizzata al 10,1 per cento rispetto a luglio 2021. Il contributo maggiore è stato dato dal rincaro dei generi alimentari che, dai cereali al latte fino a carne e verdure, nelle ultime quattro settimane ha segnato un +11,6 per cento. Con un governo in fase di transizione, un netto incremento del costo della vita e i salari in picchiata, le previsioni della Bank of England sono ben peggiori per il prossimo autunno. C’è poi l’area euro dove Eurostat stima che energia e generi alimentari sono le componenti che più impattano sul totale dell’inflazione. A guidare questa voce ci sono proprio i rincari di prodotti come mais e grano che, come per un quarto dei fertilizzanti usati in Europa, provengono principalmente dall’Ucraina.
Le cause del rialzo dei prezzi dei cereali non sono però ricollegabili solo alla guerra in Ucraina. Dietro c’è, ormai da due anni, ben altro. Geopolitica ed economia, cereali ed energia, pandemia e crisi climatica, movimento delle merci e gestione dei porti, mercati finanziari e quotidianità. Tutto è collegato, tutto è a rischio.
In primo luogo, produzione e lavorazione agricola sono fenomeni ad alta intensità energetica. Raccolta, macinazione, cottura, essiccazione e infine confezionamento. Il carburante per le macchine agricole o l’elettricità che serve per mantenere accesi i forni, per esempio. E poi i costi dell’energia con cui si è alle prese ormai da mesi. «Bloomberg» ha stimato che negli Stati Uniti il riempimento giornaliero del serbatoio di un trattore può costare ad alcuni agricoltori almeno il doppio di un anno fa, raggiungendo in più i casi i mille dollari.
C’è anche la questione dei fertilizzanti, essenziali perché in alternativa le piante potrebbero non ricevere il nutrimento di cui hanno bisogno per produrre raccolti in abbondanza. Ma, come riporta la Banca Mondiale, i prezzi dei fertilizzanti sono aumentati di quasi il 30 per cento dall’inizio del 2022, dopo un rialzo già preoccupante (80 per cento) nello scorso anno. Anche in questo caso ritorna il fattore energia, cioè il gas. Cioè l’input necessario a realizzare e far funzionare fertilizzanti che vanno dall’ammoniaca all’azoto. Martedì, in Europa, il prezzo del gas ha raggiunto i 251 euro al megawattora, equivalente in termini energetici a oltre 400 dollari al barile di petrolio, per poi flettere a 231 dollari. I prezzi a luglio sono più che raddoppiati dai livelli già estremamente alti di giugno.
Dopo essere stato lavorato e prodotto, il grano va trasportato. Ma oggi, quando si parla di spostamenti, entra in gioco la questione climatica. Alcuni sbocchi geografici stanno diventando impraticabili. In Europa è sempre più preoccupante la situazione di fiumi come Reno, Danubio, Rodano e Po: secondo i dati Eurostat, fiumi e canali del Vecchio continente trasportano più di una tonnellata di merci all’anno per ogni residente Ue e contribuiscono con circa 80 miliardi di dollari all’economia della regione. Il Reno collega l’industria tedesca e svizzera con Rotterdam, il porto più grande d’Europa. Le 1.800 miglia del Danubio si snodano attraverso l’Europa centrale e arrivano fino al Mar Nero. Ma, a causa della siccità e delle piogge scarse, stanno diventando sempre più impraticabili.
Navigare o irrigare potrebbero essere, in futuro, azioni sempre più complesse e soprattutto poco sicure. Ad esempio, all’altezza di Kaub, città tedesca che affaccia sul Reno, dallo scorso 7 agosto il livello dell’acqua è sceso precipitosamente fino a superare la sottile linea rossa dei 40 centimetri, sotto la quale è considerato antieconomico navigare. Nella pianura padana, responsabile di circa il 30 per cento di tutta la produzione agricola italiana, caldo e siccità hanno danneggiato la produzione di mais e girasole e costretto i coltivatori di riso a tagliare le piantagioni.
Sostituire il trasporto via nave con quello via terra? Cercare fonti alternative? (Quasi) tutto è possibile, ma poco vantaggioso. Per questioni di tempo, ma anche di costo (servono oltre 110 camion per trasportare lo stesso carico di una chiatta di media grandezza: chi paga carburante, manutenzione e dipendenti?). Lockdown prima, guerra e clima adesso alimentano una triste costante della contemporaneità: le interruzioni delle catene di approvvigionamento. Sommati i fattori, con una domanda globale che resta elevata, l’incertezza sulla mietitura per le colture invernali resta altissima. Ed è un problema, perché “winter is coming”, come continuano a ripetere più testate internazionali.
L’aumento del costo dei beni alimentari metterà ulteriormente sotto pressione i produttori, che dovranno necessariamente scaricare sui consumatori le conseguenze di un rincaro che si somma a quello energetico. Imprese e famiglie al centro della crisi, dunque. Ancora una volta. Ma questa difficoltà negli approvvigionamenti e questa crisi nell’andamento dei prezzi sembra far suonare anche un ulteriore campanello d’allarme: quello della globalizzazione.
Dall’India all’Algeria, dall’Indonesia a Ungheria e Bulgaria: sono molti i Paesi che hanno bloccato le esportazioni di prodotti alimentari, dal grano all’olio di palma. Certamente ci si trova in una situazione di emergenza a livello globale. Ma non ci si può esentare dal chiedersi quali e quante conseguenze ci saranno sul traffico di merci se decisioni del genere dovessero diventare sempre più frequenti. Insomma, in che modo stanno cambiando gli equilibri non solo geopolitici, ma anche commerciali? L’economia, e quindi il costo della nostra vita, dipenderà sempre più da eventi come conflitti e pandemie? Ci si può far trovare preparati? Alcune aree geografiche riusciranno a diventare autosufficienti e a staccarsi da quelli che vengono economicamente considerati fornitori ma politicamente considerati rivali? Come si convertiranno le produzioni nazionali? Quanto inciderà la situazione climatica se non saremo in grado di affrontarla seriamente?
Nel frattempo, nonostante tutto, segnali di speranza sembrerebbero esserci. Giungono dalla diplomazia e dall’economia che, ancora una volta, s’intrecciano. Dopo l’intesa sull’esportazione di cereali dall’Ucraina raggiunta lo scorso 22 luglio a Istanbul, siglata alla presenza del presidente turco Recep Tayyip Erdogan e del segretario generale dell’Onu António Guterres, mercoledì è approdata la prima nave carica di cereali a Tartus, Siria. Le navi partite dall’Ucraina, per ora, sono 21, su un totale di 36 autorizzate, e il loro carico complessivo ammonta a 563,317 tonnellate di cereali e prodotti alimentari simili.
Dall’altro lato c’è l’economia e la possibilità, secondo alcuni analisti, che il costo dei generi alimentari raggiunga il massimo nel quarto trimestre del 2022, cioè dopo il picco dell’energia, per poi abbassarsi progressivamente nel 2023. Ci si attende un assestamento della domanda e una ripresa dell’offerta che, però, dipenderà a sua volta dai soliti tre fattori: guerra, clima, energia.
L’Osservatore Romano – 18/8/2022