C’è sempre stato un distacco più o meno netto tra slogan e realtà, tra piazze affollate e consapevolezza del problema da parte delle singole persone. «Stiamo a protestà per il clima» ci si sente spesso dire dai giovanissimi che frequentano le manifestazioni a proposito del cambiamento climatico. Ci troviamo di fronte a un caso particolare: secondo uno studio condotto nel 2021 da In a Bottle su un campione di 1.100 ragazzi tra i 18 ed i 26 anni, il 69 per cento degli intervistati ritiene la sostenibilità una priorità a livello globale. Ma quello del cambiamento climatico resta un argomento tecnico e scientifico, a tratti difficile da comprendere o che comunque richiede un minimo di approfondimento. Specie in tempi così difficili, quando alla crisi climatica si sono aggiunte la crisi energetica ed economica, il tema della transizione energetica e quello dell’inflazione. Insomma, sicuri che tutti sappiano di cosa parlano?
«Consapevolezza e interesse verso l’ambiente da parte dei giovani sono aumentati», dice al nostro giornale Nicola Armaroli, chimico italiano, dirigente di ricerca presso il Consiglio nazionale delle Ricerche e direttore di Sapere, la prima rivista italiana di divulgazione della scienza fondata nel 1935, «io ho iniziato questo mestiere di divulgazione scientifica coi ragazzi almeno vent’anni fa. E di progressi nel corso del tempo ne sono stati fatti tanti. Quanto però questa consapevolezza possa poi sfociare non solo nel risentimento nei confronti della generazione precedente, ma soprattutto nell’impegno quotidiano da parte dei giovani, non l’ho ancora capito. Indubbiamente, credo che i giovani saranno chiamati a fare scelte indirizzate a uno stile di vita diverso. Scelte più vicine a quella sobrietà di cui parla spesso Papa Francesco, cioè alla “capacità di sottomettere il desiderio del piacere e della soddisfazione personale alla misura del giusto e delle relazioni interpersonali”».
Imparare a rinunciare, dunque. Piuttosto difficile per una società abituata al consumo, allo spreco, ad avere quasi sempre la soluzione ad ogni problema a portata di mano. «Uno stile di vita sobrio – specifica Armaroli – dovrebbe essere caratterizzato dai comportamenti che ripetiamo spesso nel dibattito mediatico, soprattutto in questi mesi: dal risparmio di acqua all’uso dei climatizzatori fino al viaggiare meno e in modo diverso, che credo sarà una caratteristica fondamentale dei prossimi anni se ci renderemo conto dell’impatto che certe modalità di viaggiare hanno sull’ambiente. Ma non starò qui a ripetere tutte le azioni buone e utili. Perché credo che la cosa più importante di tutte, prima ancora di arrivare al risparmio d’energia, sia acquisire consapevolezza: bisogna educare la nostra società ad avere consapevolezza dei propri consumi. Ci sono persone che non hanno neanche una vaga idea di come sia fatto e dove si trovi un contatore, di come si legge o di quanti kilowattora si consumano a casa. Fin da quando erano piccoli, alla fine dell’anno, portavo i miei figli davanti ai contatori, lo leggevamo insieme e capivamo come era cambiato il nostro uso di elettricità rispetto all’anno precedente. Se il consumo passa da 3.000 a 2.500 kilowattora, è un vantaggio elettrico ma anche economico. Solo una volta acquisita consapevolezza si possono realizzare azioni concrete».
Ecco, dunque, il cuore della questione: sapere di cosa si parla. Per poi protestare, chiedere o proporre soluzioni. Ed è auspicabile che di questo processo si faccia promotrice anche la scuola, luogo non solo d’insegnamento, ma anche di incontro e dibattito fra e con i ragazzi: «Gli insegnanti dovrebbero essere formati anche in questa direzione – prosegue Armaroli – insieme a due colleghi abbiamo scritto un nuovo testo per le scuole medie inferiori per la materia tecnologia. Ci eravamo resi conto, ad esempio, che si dava ancora una rilevanza forte al carbone nei testi ora in uso». Dello stesso avviso è il 54 per cento dei giovani intervistati da In a Bottle. In effetti, il dibattito politico e sociale sul clima e sull’energia è rimasto sterile fino a pochi anni fa. Di gas, idrogeno, rinnovabili, nucleare, carbone… si sente parlare quotidianamente, anche attraverso esperti, solo da qualche anno. «Anche il sistema educativo si è fatto cogliere impreparato. Vale per le scuole come per le università. E le imprese, quelle italiane in particolare, sono spesso preoccupate perché avrebbero tante occasioni di lavoro su ruoli che riguardano la transizione energetica, ma non trovano personale adeguatamente formato. C’è un deficit formativo. Per questo è doppiamente importante partire dai più piccoli. Dobbiamo riscrivere l’educazione per formare il cittadino fin da quando è molto giovane».
Qui, però, si aprono due strade. Educare al sapere, alla tecnica, al manuale accademico. Ed educare alla sensibilità, alla capacità di riconoscere un problema e proporre una soluzione adeguata. «Un conto sono le tecnologie – puntualizza Armaroli – un conto è la mentalità delle persone, la disponibilità al cambiamento e la coesione della società. Perciò bisogna certamente educare anche su altri piani. Non bastano i libri di testo e i sistemi educativi. Bisogna far fare esperienze. Torniamo all’esempio del contatore, ma anche a quello della raccolta differenziata o della pulizia del quartiere. In questo senso potrebbero essere molto utili anche le parrocchie, centri di nuove esperienze collettive e semplici, promosse dallo stesso Papa Francesco in testi come l’enciclica Laudato Sii».
Eppure, nel mondo post 24 febbraio non sembra più esserci spazio per gli slogan climatici. Le principali economie mondiali sono alle prese con una serie di emergenze alimentate proprio dalle fonti di energia. Armaroli è chiaro su questo: «Ora si dice che “al clima ci pensiamo dopo” perché “abbiamo problemi più gravi”. Ma la terra se ne frega dei nostri problemi. L’ho spiegato nel mio libro Emergenza energia: Non abbiamo più tempo (2020). Quella climatica non è una crisi a picco. È una crisi a baratro. La differenza è semplice. le crisi a picco sono limitate nel tempo e, in molto casi, si possono adottare contromisure per contenerle: si pensi al covid e alla soluzione del vaccino, alle mascherine o al distanziamento. Nella crisi a baratro, dopo un certo punto, non è possibile tornare indietro. Si scivola ed è sempre più difficile trovare appigli a cui attaccarsi. La crisi climatica è una crisi a baratro. Stiamo già sbattendo: si pensi alla siccità nella pianura padana, alla tragedia della Marmolada, al 2022 come uno degli anni più caldi di sempre e agli incendi di questi mesi in tutta l’Europa. Se a ciò aggiungiamo i rincari energetici, le dinamiche geopolitiche e l’incapacità di trovare soluzioni alternative ai nostri modelli di produzione, ci accorgiamo che la situazione è molto difficile. E che l’impatto sarà ancora più forte se non agiremo in fretta per preservare il futuro della nostra civiltà».
L’Osservatore Romano – 22/7/2022