Ancora oggi, l’Unione Europea paga alla Russia quasi un miliardo di euro al giorno per l’energia (660 milioni per il gas e 350 milioni per il petrolio). Con la guerra in Ucraina, si è iniziato a guardare altrove per staccarsi dall’energia di Mosca. Pochi giorni fa il ministro Di Maio è volato ad Algeri per incontrare i rappresentanti del governo del Paese nordafricano. Ad accompagnarlo l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi. «Con l’Algeria avremo una partnership energetica più forte che ci consentirà di mitigare gli effetti delle sanzioni alla Russia – ha commentato il capo della Farnesina – c’è una grande disponibilità da parte dell’Algeria a sostenerci sia nel breve, medio e lungo periodo». L’iniziativa del governo rispecchia la recente pubblicazione del nuovo censimento del bilancio italiano sul gas, aggiornato a tutto il 2021, da cui emerge che le due fonti principali di gas per l’Italia sono la Russia (28,988 miliardi di metri cubi) e l’Algeria (22,584 miliardi di metri cubi). In Europa, invece, il gas arriva per il 41% dalla Russia, per il 16,2% dalla Norvegia e per il 7,6% dall’Algeria.
(L’origine geografica del gas importato in Italia: Snam Rete Gas s.p.a)
La nuova politica energetica che si sta ipotizzando in questi giorni non prevede di chiedere agli algerini di fare ciò che fanno i russi, ma di garantire qualche sforzo in più. Eppure, siamo proprio sicuri di poter fare affidamento sull’Algeria?
Tra Mosca e Algeri c’è un legame molto forte. La Russia è stato il primo Paese al mondo ad aver riconosciuto, nel 1962, il governo provvisorio della Repubblica algerina dopo la guerra d’indipendenza. Tra il 1962 e il 1989, Mosca ha fornito 11 miliardi di dollari di equipaggiamento militare all’Algeria. Nel 2001 l’Algeria è poi il primo Paese arabo a firmare un accordo di partenariato strategico con la Russia. Vladimir Putin, in visita ad Algeri nel 2006, ha annunciato la cancellazione del debito algerino verso Mosca (4,7 miliardi di dollari) e un contratto da 7,5 miliardi di dollari per la vendita di armi. Nel settore delle armi l’Algeria si conferma uno dei primi tre clienti di Mosca insieme a Pechino e New Dehli. Lo scorso ottobre l’ufficio stampa del Distretto Militare Meridionale della Federazione Russa riferisce che Mosca e Algeri hanno avviato le prime esercitazioni militari congiunte presso il campo di addestramento e la base militare di Tarsky, in Ossezia del Nord, Caucaso Settentrionale.
Ma il sodalizio tra Mosca e Algeri ha basi anche per l’energia. Negli anni ’70 l’Urss ha contribuito alla costruzione di impianti metallurgici (El Hadjar e Annaba), centrali termiche (Jijel), gasdotti (Alrar–Tin Fouye–Hassi Messaud e Beni-Zid) e dighe (Tilezdit). Nel 2006 la compagnia russa Gazprom e la compagnia di Stato algerina Sonatrach hanno firmato un protocollo d’intesa per la produzione del gas e l’ammodernamento degli impianti. Due anni dopo sono iniziate le esplorazioni e le estrazioni di idrocarburi nell’area di El Assel. Nel 2014 i due Paesi firmano un accordo di cooperazione nel settore dell’energia nucleare, aprendo la strada alla possibile costruzione di una centrale in Algeria (che, ad oggi, non è ancora avvenuta).
La vicinanza dell’Algeria a Mosca è stata confermata lo scorso due marzo alle Nazioni Unite, quando l’Assemblea generale ha adottato una risoluzione per riaffermare la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina. 141 Paesi hanno votato a favore, 5 i contrari, 35 gli astenuti. Tra gli astenuti, c’era anche l’Algeria. È solo un gesto d’imparzialità? O c’è altro? Ancora prima, l’alleanza è stata confermata per combattere il Covid: l’Algeria è stato uno dei primissimi Paesi a usare e produrre il vaccino russo Sputnik.
Bisogna poi tenere conto dei problemi interni al Paese africano. Da un lato, Sonatrach nel 2021 ha registrato esportazioni per oltre 34,5 miliardi di dollari: un aumento del 70% rispetto al 2020. Il tasso di crescita è stato del 5% e le esportazioni sono aumentate del 19%. Pochi giorni fa, l’amministratore delegato del colosso algerino ha detto di essere «un fornitore di gas affidabile per il mercato europeo ed è disposto a supportare i suoi partner a lungo termine in caso di situazioni difficili». Tuttavia, «Algeri potrà sostenere il continente solo dopo aver soddisfatto la domanda nazionale e gli impegni contrattuali», ha aggiunto il leader di Sonatrach. S&P Global riferisce che il consumo di gas algerino è aumentato di oltre il 6% all’anno dal 2010 al 2019, prima che la pandemia provocasse una contrazione della domanda del 7% nel 2020. Di fronte a un mercato poco stabile, si aggiungono problemi amministrativi: in soli tre anni la Sonatrach ha cambiato quattro presidenti ed affrontato scandali di corruzione.
Infine, la politica interna. L’attuale presidente Tebboune, eletto il 12 dicembre 2019, è alle prese con due grandi problemi: manifestazioni di piazza (il movimento Hirak, simbolo della mobilitazione sociale) e astensionismo. Il quadro che emerge è quello di un Paese frammentato. Ed è un problema anche per l’Italia, perché il ponte tra Algeria ed Europa passa proprio per il gasdotto Transmed nel Mar Mediterraneo.
(L’esportazione del gas algerino in Europa: S&P Global)
L’impianto ha una capacità di circa 32 milioni di metri cubo all’anno. È gestito da Sonatrach ed Eni. A dicembre 2021 le due aziende hanno siglato un nuovo contratto petrolifero nell’area onshore del bacino del Berkine per realizzare un programma di esplorazione e sviluppo accelerato di riserve. In quest’occasione, hanno anche firmato un protocollo d’intesa sulla cooperazione nel campo delle rinnovabili (impianti fotovoltaici) e dell’idrogeno (cattura, utilizzo e stoccaggio della Co2).
Quella di guardare altrove per le forniture di gas è un’operazione lecita e condivisibile, ma non priva di rischi. Il primo: nessun Paese, oggi, sembra capace a prendere le redini di Mosca per rifornire di gas l’Europa. Il gas non è un rubinetto che si apre e chiude. Non si può deviare la fornitura da un giorno all’altro o da un Paese all’altro. Certe operazioni richiedono soldi, tempo, spazio. Non solo per la produzione, ma anche per il trasporto del materiale. Soprattutto in tempi di guerra e inflazione. Il secondo rischio lo si è visto con la Russia: bene le relazioni diplomatiche e gli sforzi per cercare nuovi fornitori, ma per intrecciare le relazioni economiche con un Paese su un tema così delicato come l’energia, non si può tralasciare la storia e la politica di quello stesso Paese. Sicuri di stare bussando al fornitore giusto?
Linkiesta – 16/3/2022