Quattro giorni. Oltre 2.500 chilometri. In macchina. È questo il viaggio che Lesia, una giovane donna ucraina di 34 anni, ha compiuto per scappare da Kiev e arrivare in Italia. Con sé ha portato i due figli: Dasha, 11 anni, e Misha, 9 anni. Sono arrivati lo scorso mercoledì a Roma. Qui, da diciotto anni, vive e lavora Valentina, mamma di Lesia e nonna dei bambini.

«Non volevo andare via dal mio Paese», ha detto Lesia al nostro giornale, con la dignità di chi è senza colpe, «anche quando la guerra era iniziata, ho aspettato diversi giorni. Non volevo abbandonare mio marito, la mia casa e il lavoro col rischio di non trovare più niente. A Kiev facevo l’infermiera in un laboratorio. Avevo una vita normale. Come la vostra».

Poi, la decisione di fuggire. Lesia è stata convinta dalle parole del marito e dalle preoccupazioni dei suoi due fratelli, rimasti in Ucraina a combattere. È stata proprio la famiglia a dirle che era meglio lasciare il Paese e abbandonare gli affetti. Perché dividersi, a volte, può significare sperare. Così, Lesia, Misha e Dasha iniziano un viaggio coraggioso, alimentato dalla speranza, nutrito dalla necessità di futuro. Partiti da Kiev, i tre fuggono prima in Moldavia, poi in Romania, Ungheria e Slovenia. «Ovunque siamo stati, ci siamo sentiti accolti», ha continuato Lesia, «ci hanno dato da mangiare e da dormire. Anche negli alberghi. Senza dover pagare nulla».

Infine, l’arrivo in Italia. Qui la loro vita è cambiata ancora una volta. Grazie al lavoro dei volontari della Caritas della parrocchia romana di San Giovanni Crisostomo, nel quartiere Montesacro, i tre sono stati accolti in una casa. Tutte le strutture parrocchiali si sono attivate: Dasha e Misha sono stati inseriti nelle classi della scuola paritaria Paolo VI, lei ha iniziato danza e lui calcetto.

Ora, mentre Lesia racconta la sua storia con l’aiuto della mamma Valentina, i bambini sono lì, a giocare nel cortile appena fuori la Chiesa. «Posso dire che è valsa davvero la pena viaggiare, cercare il futuro», dice Lesia. Poi il racconto s’interrompe. Dasha, la figlia femmina, porta alla madre un fiore bianco e giallo appena staccato da terra. Lei lo stringe tra le mani, abbraccia la bambina, si proteggono a vicenda. Arriva anche Misha. Sei occhi azzurri, raggianti e spaventati, si mischiano l’uno con l’altro. Una melodia in un mare di rumori. Chissà cosa hanno visto. Cosa e quanto rimarrà nelle loro vite di questi giorni orribili. Eppure, alla domanda «come stai?», il maschietto non ha esitato a rispondere: «Super».

L’Osservatore Romano – 14/3/2022