L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione per riaffermare la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina. 141 Paesi hanno votato a favore, 5 i contrari, 35 gli astenuti. Le Nazioni Unite chiedono alla Federazione Russa di «cessare immediatamente l’uso della forza contro l’Ucraina e di astenersi da qualsiasi ulteriore minaccia illegale o uso della forza contro qualsiasi Stato membro» e «ritirare immediatamente, completamente e incondizionatamente tutte le sue forze militari dal territorio ucraino entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti».

Leggere il tabellone delle votazioni è interessante per ipotizzare lo scacchiere internazionale. Tra i contrari, oltre alla Russia, ci sono alleati storici di Mosca come Belarus e Corea del Nord, ma anche Eritrea e Siria (la prima a esprimere sostegno a Putin sia dopo il riconoscimento dell’indipendenza di Lugansk e Donetsk, sia dopo l’invasione dell’Ucraina).Tra i favorevoli, invece, il Brasile di Bolsonaro, ma anche Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman e Qatar. La posizione dei Paesi del Golfo è stata monitorata da diversi analisti a causa delle conseguenze della guerra sul mercato petrolifero (il prezzo dell’oro nero in questi giorni ha raggiunto livelli altissimi; oggi il Brent ha toccato i 119,25 dollari al barile, mentre il Wti è a quota 116,07).

Tra i 35 astenuti, invece, la Cina, che prosegue nella sua politica di neutralità, anche dopo l’incontro tra Putin e Xi in occasione dell’apertura dell’Olimpiade invernale, nel corso del quale sono stati siglati importanti accordi di cooperazione.  Pechino ha parlato dell’Ucraina come «un ponte tra Oriente e Occidente», chiedendo alle parti «moderazione» affinché la situazione non peggiori e accogliendo «un dialogo tra Mosca e Kiev il prima possibile».

Una posizione che sancisce la «relazione amichevole e di cooperazione globale» stabilita nel 2001 tra i due Paesi e che potrebbe avere anche radici economiche. Il flusso del commercio bilaterale tra Cina e Ucraina, nel 2019, ha superato i 18 miliardi di dollari, crescendo di quasi l’80 per cento rispetto al 2013.

Si è astenuta anche l’India. Qui sembrano aver prevalso i rapporti politici ed economici con Mosca. Nonostante le poche visite diplomatiche di Putin in era covid, il leader del Cremlino ha comunque deciso di visitare New Delhi nel dicembre 2021. L’India, vista da Mosca come un partner strategico speciale, è stata ultimamente soggetta a tensioni sociali (la protesta dei contadini, andata avanti per oltre un anno) e, data l’importanza di Mosca nel settore delle commodities, teme un ulteriore aumento dei costi delle materie prime

La rete economica globale instaurata da Mosca si basa poi sul commercio di armi, soprattutto con alcuni Paesi africani. Dovrebbe far riflettere l’astensione di Paesi come Repubblica Centrafricana, Congo, Mali, Sudan, Sud Sudan e Sudafrica. L’interscambio tra Russia e Africa è passato da 3,4 miliardi di dollari nel 2005 a circa 20 miliardi di dollari nel 2019. L’astensione è stata seguita anche da Iran, Iraq e Algeria (altro importante fornitore di energia per l’Europa).

Nel caso di Paesi dell’Asia centrale come Tadjikstan, Kirghizstan e Kazakhstan, l’astensione sarebbe legata evidentemente a ragioni geografiche ed economiche. Potrebbe stupire invece la posizione dei Paesi del Centro America. Ieri si sono astenuti anche Paesi come Bolivia, Nicaragua e Cuba. In questi casi, bisogna ricordare che il commercio tra Mosca e i Paesi dell’America Latina e dell’area caraibica è cresciuto del 44 per cento tra il 2006 e il 2016. La Russia ha investito nel settore del petrolio e del gas in Bolivia, Messico e Venezuela. Col Nicaragua i russi hanno rafforzato la cooperazione militare sul territorio per «combattere il traffico di droga».

L’Osservatore Romano – 3/3/2022