Nei giorni scorsi, il ministro dell’Interno italiano, Luciana Lamorgese, e il presidente dell’Associazione bancaria italiana (Abi), Antonio Patuelli, hanno sottoscritto al Viminale l’Accordo quadro per la prevenzione e il contrasto al fenomeno dell’usura. «Dal 2007, quando è stato firmato il primo accordo — ha dichiarato il ministro — sono cambiate molte cose. Stiamo uscendo da una pandemia che ha determinato situazioni complicate anche per le famiglie».
Per quanto riguarda l’Italia, Istat ha svelato che a fine 2020 oltre due terzi delle imprese registrava cali di fatturato rispetto al 2019 e 73 mila imprese dichiaravano di essere chiuse. Di queste, 55 mila prevedevano di riaprire e 17 mila no. Eppure, nel 2020 i fallimenti d’impresa sono crollati del 32% rispetto al 2019. Com’è possibile che abbiano fallito novemila aziende in meno rispetto allo stesso periodo del 2019? Certo, i governi e le banche hanno messo in campo straordinarie risorse economiche. Ma, purtroppo, i dati dimostrano che sempre più persone si sono rivolte agli usurai per impedire che la propria impresa fallisse e che la propria vita fosse stravolta.
Non si tratta solo di alberghi, ristoranti e cinema. Si pensi, ad esempio, alle agenzie di bus turistici, ai fotografi che immortalano scene di cerimonie, alle palestre, ai concessionari d’auto, alle carrozzerie. Cosa accadeva quando l’Italia entrava in lockdown, le entrate si azzeravano e i costi restavano gli stessi? Solo nei primi tre mesi del 2020 i reati di usura sono cresciuti del 9,6%. Nello scorso anno, il tasso di poveri che si sono rivolti per la prima volta alla Caritas è arrivato al 45%.
Un’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Bari ha svelato prestiti concessi con tasso usurario superiore al 300%. Per far fronte a un’emergenza del genere, il Comitato di solidarietà per le vittime dell’estorsione e dell’usura ha assegnato 23,3 milioni di euro alle vittime: rispetto all’anno precedente, la crescita è stata del 30%. Quando si parla di usura, però, i dati ufficiali risultano spesso insufficienti. Troppe persone continuano a pagare in silenzio gli usurai perché temono conseguenze sulla propria famiglia. Ancor più, chi si rivolge al Fondo chiede sì assistenza economica, ma non denuncia la propria situazione. Così, come emerge da uno studio dell’università Bocconi, coordinato dalla professoressa Eleonora Montani, il numero di richieste di accesso al fondo statale per le vittime di racket e usura non corrisponde al numero delle denunce.
Il rapporto della Bocconi è utile per comprendere alcune dinamiche. Ad esempio, le istanze presentate da vittime di estorsione sono il doppio di quelle presentate da vittime di usura. Nei casi di estorsione, gli intervistati dichiarano di aver subìto minacce verbali, incendi o furti alla propria attività. Ma spesso le vittime «denunciano solo quando sono allo stremo», dichiara la coordinatrice del progetto, «nell’82% dei casi, chi si rivolge al Fondo ottiene il prestito a interessi zero e lo utilizza per ripagare i debiti». Era già accaduto tra il 2008 e il 2011 quando, durante la grande recessione, gli usurai erano più di 40 mila e le denunce per usura erano triplicate. Cosa è avvenuto e cosa sta avvenendo adesso, durante la pandemia? Cosa potrebbe significare una nuova chiusura delle attività economiche? In questo sfondo s’inserisce il ruolo del Fondo antiusura. In grado di dare vita ad un rapporto che non termina con l’elargizione del denaro, ma che prosegue nel corso del tempo.
La sofferenza e la vergogna di chi chiede aiuto vengono affrontate con il supporto e la tecnica di chi si mette in ascolto. Ma, troppo spesso, chi si rivolge agli usurai lo fa perché teme i ritardi nell’erogazione dei fondi e la denuncia. Quella dell’usura è vista come una via d’uscita facile.
In questo senso l’aiuto dello Stato dovrà mutare profondamente: occorre un accompagnamento sul territorio non solo durante e dopo la richiesta d’aiuto, ma anche prima. Si può prevedere un supporto che, col tempo, sarà in grado di fornire alternative anche sul piano lavorativo. Insomma, la presenza dello Stato dev’essere avvertita di più e meglio. In primis da chi ha più bisogno.
L’Osservatore Romano – 29/11/2021